Ragusa Sottosopra
n.2 del 03/04/2009
La mostra “A chi lo sa…”
Giovanni Carbone, la conosciamo come scrittore per “Ragusa e le perle della Contea di Modica” e per il suo primo romanzo “La metamorfosi del parafulmine” pubblicato nel 2007, ma abbiamo potuto apprezzarla recentemente anche come fotografo in occasione della mostra allestita nella sala espositiva del “City” a Ragusa lo scorso dicembre. Come ha costruito questa “narrazione” fotografica e che rapporto ha con la sua “scrittura”?
Devo dire che è stato abbastanza naturale il passaggio dalla narrazione scritta a quella per immagini, in un rapporto comunque biunivoco, fatto di sincretismi, continui rimandi, assonanze. In realtà entrambe queste cose soddisfano un mio desiderio di descrizione e di aderire a quegli Universalia in cui la narrazione assume centralità assoluta. La descrizione per immagini o attraverso le parole sono il mio piccolissimo contributo a quel processo a tappe di ricomposizione, in un disegno organico e percettibile, di una realtà complessa e frammentata, di una identità sfuggente. Fotografare e scrivere sono i modi che mi sono apparsi più efficaci - oltre che tecnicamente più o meno praticabili - per certificare alcune delle tappe di questo percorso. Del resto, così come è essenziale il confronto tra una molteplicità di punti di vista, può tornare utile avere diversi strumenti per osservare e descrivere la complessità. Ciascuno di questi incontrerà poi sensibilità differenti e contribuirà a ricomporne l'articolato mosaico.
Le foto esposte sono in parte in bianco e nero ed in parte a colori. Ritraggono prospettive marine, intonaci, scorci, presenze oggettuali della nostra terra. E sembra che il colore lei lo utilizzi per mostrare i segni del passato, le stratificazioni del tempo, mentre tramite il bianco e nero descrive visioni del presente. E' dominante il tema del tempo?
Il tempo non è una variabile qualunque. Ha una sua rilevanza assoluta. Io non ho una visione del tempo di tipo circolare, come gli orientali, ma mi stimola molto l'idea di rallentarlo, quasi a costringerlo a sedimentarsi senza però che i suoi effetti si sovrappongano del tutto. Pezzi consistenti del nostro vissuto quotidiano sono fatti di oggetti che hanno la sorprendente capacità di trattenere il tempo, e ne rendono evidente il passaggio in modo esattamente opposto a quello di un nastro magnetico che invece ogni qual volta viene reinciso rimuove le precedenti registrazioni. Con la descrizione del presente in bianco e nero cerco di renderne anacronistica la rappresentazione, anche scegliendo soggetti particolari, come il mare d'inverno, un concetto a cui non siamo così abituati.
In molte foto marine c'è una silenziosa tensione prospettica verso il mare. E' un tendere verso l'altrove, un guardare oltre?
Credo proprio di si. La nostra natura si fonda su un principio che è quello ologrammatico. Un ologramma fisico è una figura in cui il più piccolo punto dell'immagine dell'ologramma contiene la quasi totalità dell'informazione dell'oggetto rappresentato.
Non solo la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte (reciproca interiorità). Nel mondo biologico, ad esempio, ogni cellula di un organismo contiene la totalità dell'informazione genetica di tale organismo. Pascal diceva: “non posso concepire il tutto senza concepire le parti e non posso concepire le parti senza concepire il tutto”. Lanciando lo sguardo oltre in realtà percepisco un pezzo di me, per di più decentemente amplificato cosicché il mio astigmatismo non influisce sulla sua percezione. Ma percepisco anche quel tutto di cui io sono parte.
Quale sguardo interiore delle sue radici iblee restituiscono le sue foto?
Nelle radici iblee io riconosco esplicitato, forse più che in qualsiasi altro luogo abbia vissuto e visto, quanto espresso nel principio ologrammatico. La natura e la realtà sociale di questo pezzo di Sicilia rappresentano uno straordinario complexus. Ogni più piccola parte di questo mondo racchiude in sé infinite contaminazioni, e in definitiva ci racconta del tutto di cui ritiene ogni informazione. Io spero di riuscire a renderne almeno una parte.
Incontreremo ancora Giovanni Carbone fotografo?
Scrivere e fotografare sono cose che mi divertono e mi appagano enormemente. Dunque credo proprio di si.
Giovanni Carbone vive tra il Ragusano e la Toscana dove lavora come insegnante. Ha esplorato le varie forme della scrittura, dalla saggistica alla poesia, dalla narrativa per bambini al teatro, ecc. È stato a lungo direttore editoriale del periodico “La Freccia Verde”ed ha collaborato con numerose riviste (Jeronimus Logos di Milano, fra tutte) ed è autore di una ricca pubblicistica in particolare imperniata sui temi della politica, dell'ambiente, dell'arte, della cultura e del sociale. In questo senso ha appena terminato la sua collaborazione per un numero monografico della rivista milanese ControCorrente dedicato all'artista fiorentino recentemente scomparso Franco “Cisco” Antonetti e in cui è presente con un racconto e con la sua opera figurativa “Morte accidentale di un anarchico”. Ha ricevuto svariati riconoscimenti tra cui, per la saggistica, il primo premio alla V edizione del concorso letterario “Città di Gozzano” (NO), e per il giornalismo al concorso d'arte e letteratura “Castagno dei Cento Cavalli” a Sant'Alfio (CT). Altri riconoscimenti gli sono giunti per la Poesia (“Premio Calliope a Pozzallo”, Gamondio Poesia Castellazzo Bormida (AL)) e per la narrativa per bambini (“Premio Arci Renzino” a Foiano della Chiana (AR)). Ha collaborato come editing con la casa editrice “Vito Cavallotto Edizioni” di Catania e suoi ultimi lavori sono il saggio storico “Ragusa e le perle della Contea di Modica”, edito dalla Flaccovio Editore (PA), e il romanzo “La Metamorfosi del parafulmine”, pubblicato da Prova d'Autore (CT). Attualmente sta lavorando alle stesure definitive del suo ultimo romanzo e di una raccolta di racconti.
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