
Ragusa Sottosopra
n.3 del 08/06/2009
Punta Braccetto tra mare, archeologia e storia
Saverio Scerra, Archeologo

Paolo Orsi, il grande roveretano padre dell’archeologia siciliana e non solo, nel 19061907, tratteggiando con piglio da scrittore tardoromantico il paesaggio nei dintorni di Punta Braccetto scriveva: …“(il) panorama è di una grandezza desolante e solenne. Dalle dune la vista si stende a perdita d’occhio sul mare africano, ora abbagliante e luminoso, ora tragicamente cupo…”. Proprio in quegli anni tra il 1906 e il 1907 “le lunghe e violentissime piogge” di un inverno, non dissimile da quello appena trascorso, disvelarono agli occhi di quell’archeologo il villaggio castellucciano di Branco Grande. Si estendeva per circa un ettaro in un’area oggi all’interno del demanio forestale occupava un promontorio roccioso e pianeggiante, affacciato sul mare, protetto ad Est da collinette sabbiose e lambito, sul versante settentrionale, da un pantano e da un ruscelletto. Un poderoso muro di fortificazione circondava, in antico, circa trenta capanne. Il muro era realizzato a secco con un doppio paramento di pietrame di quelli ben noti, in Sicilia, a Thapsos, a Petraro, a Cava Ispica. Le capanne, individuate da P. Orsi, erano caratterizzate da un muro perimetrale di forma ellittica con pavimenti di calce e da banchi in muratura. Per tanti anni la letteratura archeologica specializzata ha ritenuto di poter affermare che quel villaggio fosse scomparso a causa di tutta una serie di trasformazioni degli archeosuoli. Tuttavia, le indagini condotte nel sito nel 1996 da G. Di Stefano hanno portato all’individuazione di tre capanne superstiti di forma ellittica: due conservano ancora tratti dei muri perimetrali, mentre una, integra, rivela un diametro di 2,70 m. La scoperta del villaggio di Branco Gra

Il primo dei due, quello più a Nord, presenta una lunghezza di 33 m., una larghezza media di 0,40 m. e una profondità massima di 1,40 m. Lungo questo, in un’epoca imprecisata, furono intagliate tutta una serie di bitte di varie dimensioni e forme, idonee non soltanto all’ormeggio, ma anche ad assecondare sistemi di tiraggio di funi adatti, appunto, all’alaggio delle imbarcazioni.
Il secondo canale, più a Sud, è stato rilevato per una lunghezza di 28 m, una larghezza media di 2,40 m ed una profondità di 0,45 m. Simili escavazioni sono state identificate, a Siracusa, presso l’attuale imbarcadero di S. Luci

Al VI sec. a. C. si fa risalire un notevole repertorio di ancore in pietra, nonché una gran quantità di vasellame, un minuscolo lingotto d’argento e un elmo corinzio forse pertinenti al carico di una nave greca di cui non furono trovati i legni. Un altro elmo, del tipo cosiddetto corinzioillirico, rinvenuto nel mare di Punta Braccetto ed oggi custodito presso il Museo Archeologico Ibleo di Ragusa, costituisce un unicum per tutto l’Occidente e ci piace pensarlo, come l’esemplare anzidetto, ora al Museo di Camarina, appartenuto ad uno dei primi Greci che frequentarono le coste del mare camarinese.
All’età ellenisticoromana è da assegnare il rinvenimento

Il frammento di un ennesimo elmo in bronzo “a berretto di fantino”, oggi al Museo di Camarina, proviene dalle acque di Punta Braccetto. Si tratta di una variante più antica dei due elmi del tipo “Coarelli D” rinvenuti a Camarina e Playa Grande: privo delle paragnatidi (paraguance) mobili che caratterizzano questo copricapo da combattimento come gli altri due esemplari citati, era forse in dotazione alle milizie romane che, durante la Prima Guerra Punica, erano imbarcate sulle navi delle flotte consolari incappate in due funesti naufragi avvenuti nelle acque di Camarina nel 255 e nel 249 a.C. e ricordate da Diodoro, Polibio e Livio. A tal proposito ci sentiamo di concordare con J. Schubring, autore, nel 1873, di una fondamentale monografia su Camarina, nell’identificare col braccio detto della Colombara (lì dove è la torre d’avvistamento) quel Bucra Akra, menzionato dal geografo alessandrino Tolomeo, nel II sec. d C.: nei suoi pressi, proprio nell’anno consolare 249 a.C., l’ammiraglio cartaginese Cartalone si era ancorato per osservare le mosse delle flotte romane che incrociavano al largo e che di lì a poche ore avrebbero fatto naufragio a causa di un improvviso e violento fortunale.
All’interno del demanio forestale, lungo il vallone Mistretta (C.da Menta), nel 1996, G. Di Stefano rinvenne le tracce di una fattoria di epoca greca databile tra la fine del V e gli inizi del IV sec. A.C.
Il complesso risulta composto da due edifici: uno, più antico, di forma rettangolare (1

Questa fattoria, con le fattorie Iurato e Capodicasa, ad Est dell’antica Camarina, costituisce una importante testimonianza della vivacità del comprensorio agricolo di quell’antica città greca: con le capanne di Branco Grande, rappresenta, altresì, l’unica testimonianza di un’area abitativa d’età antica nell’area di Punta Braccetto. Una cava di pietra (ancora in fase di studio), poco ad Est del più meridionale dei due Canalotti, sfrutta un banco di calcareniti pleistoceniche destinate, forse, a divenire materiale da costruzione per edifici d'età greca della vicina Camarina o più recenti quali la stessa Torre di guardia. Non è per altro da escludere un trasporto via mare dei materiali lapidei come attestano alcune bitte d’ormeggio intagliate sul banco roccioso in prossimità del mare.
La naturale vocazione marinara del sito non dovette certo sfuggire, a partire dal XIV sec. della nostra era, alle orde barbaresche che terrorizzavano con le loro scorrerie il Canale di Malta. Ma solo nel 1595 iniziarono i lavori per la realizzazione della Torre di deputazione, detta anche di Vigliena, posta all’estremo del cosiddetto “braccio della Colombara” e che rientrava nel grande progetto della Corona di Spagna di cingere l’isola con un cordone di torri atte a difenderla dalle incursioni ottomane che a partire dalla seconda metà del 1500 facevano registrare una grande recrudescenza. Essa si legava, a Sud, con le torri di Pietro (oggi detta “Torre di Mezzo») e di Scalambri e probabilmente chiudeva, da Nord, l’area di un antico bacino portuale (il Caucanae Portus del

Forse anche a causa dei bombardamenti che attinsero la torre nel corso del secondo conflitto mondiale, oggi essa si presenta quasi del tutto diruta ed è in pratica impossibile definirne gli alzati. Tuttavia, come si deduce da una parte del basamento superstite, era, forse, a pianta quadrata ed occupava uno spazio di 120 mq circa. Sulla base, lievemente scarpata, si appoggiava probabilmente una costruzione costituita da un piano a “dammuso” per la logistica e una terrazza sulla quale si disponevano le artiglierie puntate verso il mare. Alle spalle dell’antico torrione vi sono i ruderi di una casermetta, utilizzata fino agli anni sessanta dalla Guardia di Finanza e una trincea a servizio della batteria antiaerea piazzata sul basamento della torre e in uso durante la Seconda Guerra Mondiale per arginare le incursioni aeree alleate provenienti da Malta.
Nella baietta, a Nord, a ridosso del braccio della Colombara, riparato dai venti meridionali, è ancor oggi visibile un piccolo approdo (creato nel XVI secolo e a servizio della torre ?) di cui si leggono le bitte d’ormeggio intagliate nella roccia. Durante il Secondo Conflitto Mondiale Punta Braccetto fu teatro delle operazioni di sbarco da parte degli alleati che, tra il 9 e il 10 Luglio del 1943, invasero la Sicilia: l’operazione Husky, come è noto, fu preceduta da frequenti incursioni aeree che dovettero impegnare non poco la citata batteria costiera piazzata sui resti dell’antica torre, nonché le postazioni ricavate nei banchi rocciosi e di cui resta traccia presso il più a Sud dei due Canalotti.
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