Ragusa Sottosopra
n.5 del 30/10/2009
Talenti - Giovanni Arezzo - Un ragusano predestinato al mondo dello spettacolo
Franco Giorgio, direttore artistico Centro Teatro Studi
del suo talento in teatro e in produzioni televisive, conquistando a Milano anche il premio Hystrio come migliore giovane attore diplomato
Era un caldo pomeriggio di ottobre del 2002 quando Giovanni si presentò al Centro Teatro Studi per iscriversi al corso di recitazione. Alla mia richiesta del perché volesse provare a fare quell’attività rispose che desiderava arricchire la sua esperienza. Non affermò, come spesso accade, che aspirava a fare l’attore. Fece un breve provino e notai subito che avevo davanti a me un ragazzo “giusto” per quella esperienza: mite e dai modi gentili, ma determinato, e sicuro di voler affrontare il palcoscenico per verificare le sue potenzialità non ancora espresse, ma che già sentiva agitarsi dentro. Quell’anno lavorammo molto sul corpo e sui linguaggi non verbali utilizzando le tecniche del metodo mimesico di Orazio Costa, regista e docente decano all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma (fra i suoi allievi Nino Manfredi, Monica Vitti, Gabriele Lavia, Luigi Lo Cascio). Giovanni rispondeva molto bene alle mie “provocazioni” laboratoriali.
Anzi sembrava proprio trovarsi perfettamente a suo agio fra quegli “strampalati” esercizi nei quali bisognava “sentirsi” vento, o acqua, o foglia, o uccello, o sasso, o fuoco, o … qualsiasi altra cosa esistesse in natura. Mise subito in evidenza la sua abilità nell’uso della parola (sempre chiara, duttile, naturale) e la sua capacità di trasformarsi, di interpretare personaggi non soltanto lontani da lui, ma diversi l’uno dall’altro. Il testo che stavamo mettendo in scena era “La storia della bambola abbandonata” di Giorgio Strehler, regista simbolo del Piccolo Teatro di Milano. A Giovanni affidai due ruoli, lontani anni luce fra di loro, ma vicini perché tutti e due avevano a che fare con la giustizia: uno straccivendolo che dirimeva le piccole diatribe quotidiane che na-scevano fra la povera gente portando la pace fra di essi - interpretato da Giovanni con magistrale poeticità - e un cinico giudice ubriacone - anche questo interpretato con estrema bravura (vista anche la sua giovanissima età) - che salomonicamente e con prepotenza gestiva la giustizia dei potenti.
Due personaggi tratteggiati in maniera tanto egregia che ancora oggi sono vivi nella mia mente, nonostante i tanti spettacoli che si sono succeduti in questi anni.
Giovanni era puntiglioso, serio, sempre pronto a lavorare; sempre disponibile a rivedere - e possibilmente stravolgere - quello che era stato stabilito precedentemente; affrontava il compito assegnatogli con impegno, serenità e pazienza, ben intuendo che un personaggio si costruisce giorno dopo giorno, prova dopo prova, cercando di individuare e fare proprie le mille piccole e quasi insignificanti sfaccettature nascoste che compongono un personaggio.
Il debutto dello spettacolo avvenne a marzo, in coincidenza della gita scolastica di fine anno. Giovanni era disperato, mai avrebbe voluto rinunciare a quella gita: l’aveva aspettata per cinque lunghi anni.
Eppure non ebbe un attimo di esitazione: con la morte nel cuore scelse di completare la sua esperienza teatrale e rinunciare alla gita. Era il segno del destino. La sua strada era stata tracciata. Pochi mesi dopo l’ammissione in Accademia; poi, tre anni più tardi, il diploma di attore.
Naturalmente fui presente allo spettacolo di diploma dove ritrovai il Giovanni che conoscevo, ma con qualità affinate dalla scuola di grandi maestri e con la consapevolezza di chi sa di aver scelto la strada giusta. Quella stessa sera, a fine spettacolo, gli proposi il delicatissimo (e difficilissimo) ruolo di Oscar in “Oscar e la dama in rosa” di E. E. Schmitt, uno spettacolo che stavo per mettere in scena.
Giovanni accettò con grande entusiasmo: era il suo primo lavoro da attore professionista (e subito protagonista).
Ne venne un’interpretazione delicata e intensa, commovente ed energica, coinvolgente e spiritosa, mettendo in evidenza la sua perfetta abilità sia nel gestire la parola - grande naturalezza e immediatezza - che il corpo, “improvvisandosi” ballerino in deliziose coreografie con Manuela Curcio nel ruolo di Peggy Blue, sulle dolcissime e appassionate note di Peppe Arezzo al piano.
Qualche mese dopo era ancora protagonista, nel ruolo di Zorba, di un mio spettacolo per ragazzi: “La gabbianella Fortunata”, testo tratto da “La storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” di Luis Sepùlveda. Anche qui assistemmo ad una interpretazione rigorosa e coinvolgente.
Infine, appena qualche mese fa, l’ho diretto in “Tre storie tre” di Stefano Benni, spettacolo for-temente voluto da Giovanni, nel quale il nostro giovane talento si è brillantemente cimentato - accompagnato sulla scena dall’abilissimo chitarrista jazz Maurizio Diara - in una sorta di “one man show” interpretando tutte e tre i personaggi delle tre storie scritte da Benni: Pino il muratore, Onehand Jack, Divago.
Quest’ultimo spettacolo ha ancor più evidenziato le qualità di Giovanni Arezzo: grande presenza scenica, rilevante duttilità interpretativa, eccellente gestione del corpo, maestria ad “entrare” nei per-sonaggi, o forse a far entrare i personaggi dentro di sé e “viverli”. E ancora una infinita dose di pazienza ed una capacità di applicazione che può durare molte ore consecutive (7/8) al giorno senza lamentarsi mai ed essere sempre disponibile a ricominciare. In mezzo a tutto ciò la partecipazione a serial televisivi quali Ris 3 - Montalbano - Apnea (dove è stato protagonista)“, cinque puntate prodotte dalla Fox e trasmesse su Sky. Poi il teatro dove è stato diretto da Lorenzo Salveti, Giancarlo Pepe, Massimiliano Farau, Maricla Boggio e Gianluica Ramazzotti in “La mia prima volta”, uno spettacolo di grande successo che dopo le repliche primaverili a Roma, è ripreso a settembre e resterà in scena fino al prossimo febbraio 2010. Da ricordare, inoltre, il premio “Hystrio” ricevuto a Milano lo scorso anno come miglior attore giovane diplomato. Cosa altro dire di Giovanni Arezzo? È l’attore che tutti i registi vorrebbero dirigere: è sempre concentrato, lavora sempre con intensità, ascolta molto attentamente ciò che gli viene detto; non crea mai problemi (anzi quando si manifestano, cerca di risolverli prima di esporli al regista); assorbe come una spugna e fa proprie tutte le indicazioni che il regista gli propone (ma quando non è convinto di qualcosa trova un modo garbato e civile di esporre i suoi dubbi); ha carattere (se è convinto che qualcosa non funziona non si dà pace finché le sue perplessità non vengono sciolte); dà profondità ai personaggi; è capace di cantare e ballare; parla diversi dialetti; è propositivo.
Un vero talento, un predestinato. Ma anche un giovane che ama profondamente la sua città e che non perde occasione per tornare e offrire sé stesso alla sua Ragusa.
Un attore di cui sentiremo parlare sempre più spesso e di cui presto saremo orgogliosi.
Buon “viaggio” nel mondo dello spettacolo, Giovanni. E che il dio che governa il teatro faccia incro-ciare ancora le nostre “inquiete esistenze”.
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