Ragusa Sottosopra
n.6 del 30/12/2009
L'arte del gesto
a cura di Anna Malandrino
Giuseppe Criscione, manipolatore di argilla, con il suo leggero movimento delle dita, che è anche movimento del laboratorio interiore e di solitudine, riesce a dare forma all'informe. Elabora le sue opere con maestria e libertà andando al di là del movimento descrittivo. Dalle sue opere affiorano sensazioni e suggestioni, riuscendo a sprigionare una concezione vitalistica della materia plasmata a favore di un'arte che è impegno sociale e umano, sforzo di comunicazione, bisogno di condivisione. Attento osservatore della realtà sa cogliere ed evocare le intrinseche caratteristiche dei luoghi e dei personaggi che ha visto di persona nella sua città - Vallelunga Pratameno, nel nisseno - dove nasce il 1 ottobre 1940. Fin da bambino predilige il disegno. È proprio sul selciato della piazza del suo paese che nelle sere d'estate dà sfogo al suo estro artistico disegnando a gessetti i volti degli attori e delle attrici più note del tempo.
Presso le fornaci del suo paesello, dove si producono mattoni e tegole, il piccolo Giuseppe si procura la creta che poi modella da autodidatta dando sfogo alla sua fantasia.
Capita a Ragusa per caso quando, nel 1959 ospite di una zia, decide di rimanervi avendo trovato un lavoro prima presso la bottega di un calzolaio e poi come ritoccatore di fotografie. A Ragusa può esprimere al meglio la sua passione artistica venendo a contatto con i pittori locali, fra cui Ciccio Baglieri, che condivide con lui la passione per la pittura e lo porta con sé a dipingere dal vivo la natura. Ma Criscione non è ancora contento, vuole conoscere meglio la manipolazione dell'argilla e per questo motivo frequenta i maestri calatini apprendendone magnificamente l'arte. Per Criscione pittura e scultura vivono come differenziazioni tecniche di un unico pensiero artistico.
Nel 1965 decide di aprire una bottega vicino il ponte San Vito dove lavora ed espone le sue opere. Si cimenta in sculture profane e religiose. Per la scultura profana trae la sua ispirazione dai personaggi tipici della sua città natia e del contado ibleo. Con forte carica di nostalgia e con grande caparbietà tecnica Criscione modella le sue figure riproducendo nei minimi particolari vestiti laceri e rattoppati, contadini con gli arnesi del mestiere di una volta, le case attraverso cui fa rivivere la miseria in cui era costretta a vivere la povera gente. Forte del suo senso spirituale Criscione intende elevare lo sguardo dell'uomo di fronte al Cristo come appello alla fede e alla speranza e si cimenta con il tema sacro cercando di esprimere il sublime che in esso è celato. Elabora Presepi e Vie Crucis.
Nei presepi lo stile è sobrio. Essenzialità e limpidezza narrativa mostrano un eccezionale talento dell'autore che è capace di mettere a fuoco il fulcro narrativo scegliendo con cura le figure ed il loro atteggiamento. L'iconografia è classica, è quella della campagna iblea con personaggi delle realtà contadine dell'Ottocento reinterpretate con grande abilità che riescono a trasmettere ancora suggestioni. Dai presepi Criscione ha ricevuto tanti riconoscimenti: gli Amici del Presepe di Roma hanno regalato un presepe dell'artista ragusano a Michael Gorbaciov e a Giovanni Paolo II.
Le sue opere sono apprezzate da artisti di fama internazionale quale Gregorio Sciltian, pittore armeno, lo scultore Emilio Greco, il pittore conterraneo Giovanni Cappello. Con rifriferimento al maestro Cappello, Criscione ama raccontare un aneddoto secondo il quale Cappello, tutte le volte che tornava a Ragusa per rifocillare lo spirito nella natia terra, percorreva il Ponte San Vito ed era solito sedersi nella bottega del Criscione meravigliandosi di come riusciva a modellare quei personaggi così piccoli, ma così espressivi.
Una volta gli disse: “Continua così che farai strada”. E gli suggerì: “Ormai sei conosciuto per quello che fai e lo sai fare bene. Non fare come fanno tanti artisti, i quali una volta fanno il figurativo e poi cambiano passando all'informale. Così facendo la gente non ti riconosce più”.
Nella Via Crucis, culmine della narrazione evangelica, Criscione intende elevare lo sguardo dell'uomo di fronte al Cristo come appello alla fede e alla speranza. È una scultura capace di cogliere i sensi del mistero del dolore, di morte e di resurrezione con i risvolti di quell’amore supremo che è donazione della vita del figlio di Dio fatto uomo. Pur rimanendo fedele alle Sacre Scritture e alla tradizione della chiesa, l'artista esprime un messaggio spirituale proprio. L'informe prende forma. I personaggi, i loro volti, le loro mani vengono tracciati gradualmente sull'argilla. I rilievi non si staccano violentemente dalla materia grezza ed il graduale emergere delle parti sporgenti crea raffinate vibrazioni di ombre e di luci con effetti di tipo pittorico. La luce si libera e dà una anima alla scultura. Più la luce si libera più la scultura sfiora il Vero.
L'ispirazione scende come un raggio di luce e il volto di Gesù appare del tutto umano: Egli è vivo, la Sua bellezza illumina lo spettatore e l'intimità spirituale è rappresentata nel colloquio degli sguardi. L'opera risveglia l'anima e la eleva fino a glorificare la Sorgente. In alcune formelle raggiunge il sublime con la Madonna colpita dal dolore, ma nel suo volto si legge la gioia della certezza che il Signore risorgerà per incarnarsi in ogni essere e la speranza illumina la gioia che verrà. Pochi sono i personaggi raffigurati, ma sufficienti a costruire il racconto. L'atmosfera della scena è definita dagli atteggiamenti, mentre le espressioni dei volti descrivono bene le sensazioni di ciascuno. Giuseppe Criscione ha trasmesso la sua passione al figlio Alberto che lo affianca nella sua bottega. Nelle opere di Alberto si evince la tradizione di papà Peppino, la chiarezza di ispirazione umano-religiosa che impregna l'artista, ma vi apporta un vento nuovo, frutto di stimoli diversi da quelli del padre. La fantasia risulta il primo lievito. Nella sua produzione si sente scorrere il flusso straordinario della fioritura delle forme alla fonte corale dell'ispirazione e l'illuminazione liberatrice concessa solo ai creatori nel problema della trascendenza. Nella scultura “Riposo durante la fuga in Egitto”, nel gesto affettuoso della Madonna verso il figlio, Alberto trova la sua più alta enunciazione dell'arte affermando, con il massimo della responsabilità, tutta la bellezza e la prudenza espressiva. Vi immette la sua concezione di arte, la sua modernità espressiva, la sua freschezza di linguaggio e il suo desiderio di pace. Ne risulta un'opera di commovente intensità nella quale i chiari scuri della creta giocano un ruolo non certo trascurabile in questo allestimento di poesia. Nel giugno di quest'anno, in occasione della riapertura della Civica Raccolta Carmelo Cappello, chiusa da mesi per l'inagibilità del Corso XXV Aprile, il Comune di Ragusa, sotto il patrocinio dell'assessore alla cultura Mimì Arezzo, ha invitato Giuseppe Criscione ed il figlio Alberto ad esporre le loro opere assieme alle sculture del maestro Cappello, ricevendone i più lusinghieri apprezzamenti.
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