Ragusa Sottosopra
n.4 del 26/07/2011
Ignazio Nifosì - Il Canonico di ferro
Andrea Ottaviano, storico
L'amore per le tradizioni popolari.La passione civile.La difesa dei monumenti.L'interesse per la scrittura e lo studio <(seconda parte)
Il canonico Ignazio Nifosì si interessò pure di tradizioni popolari. Nel 1950 pubblica “La cena di San Giuseppe”. Vi narra con dovizia di particolari come a Marina di Ragusa veniva sciolto un voto fatto a San Giuseppe, organizzando una grande cena “ricchissima di tutto”, alla cui preparazione lavorava tutta la famiglia Di queste “tavolate” ex-voto il 19 marzo 1950 ne conta ben 30 e descrive la cerimonia. La padrona di casa sceglie tre persone bisognose (abitualmente una famiglia povera), le accompagna in chiesa per la preghiera di scioglimento del voto fatto al Patriarca, poi, seguiti anche dalla banda, li conduce dinanzi alla porta di casa, chiusa. San Giuseppe bussa tre volte col bastone fiorito; dopo avere chiesto “chi va là?” e alla risposta “Gesù, Giuseppe e Maria” quelli all'interno aprono la porta e i tre “Santi” entrano. San Giuseppe posa il bastone fiorito a lato della tavolata e tutti e tre si lavano la mani con una miscela di acqua e vino.
San Giuseppe recita la tradizionale benedizione e comincia la cena. Data l'abbondanza delle vivande una parte viene data ai parenti, ai vicini di casa e agli amici.
Riferisce pure, nello stesso opuscolo, di un'altra bellissima tradizione, oggi scomparsa: il battesimo del pupo. Con delle canne legate due ragazzini formano una specie di croce di Sant'Andrea e con pezze e strisce di tela compongono il corpo di un bambino. Poi lo rivestono come se fosse reale e alla fine gli mettono una mantellina bianca come abito battesimale.
Come testa gli mettono un grande fico sangiovannaro, a cui fanno tre buchi che rappresentano gli occhi e la bocca. Con tanti altri coetanei formano un corteo che si reca alla spiaggia; il compare tiene il pupo, la comare attinge l'acqua dal mare e la versa sul capo del pupazzetto recitando le parole del battesimo. Poi gli impartiscono anche la cresima. Prendono un altro fico lo dividono in due, la metà la lanciano in mare, il più lontano possibile; il bambino e la bambina mangiano l'altra metà, un quarto ciascuno, e da quel momento diventano compare e comare e così si chiameranno per tutta la vita
Allo studioso si affianca l'uomo con la passione civile. Quando il Consiglio Comunale propose di innalzare un monumento a Giuseppe Mazzini, il canonico, dopo avere indetto un concorso per l'iscrizione da apporre al monumento, essendogli pervenuti oltre 100 proposte, tutte in senso negativo, stampò un volantino dal titolo “Un Voto” con cui si oppose con forza alla sottoscrizione per la realizzazione dell'opera, inserendo la poesia più breve che gli era pervenuta:
“Gloria a te, o Provincia…cose belle!
Esulta lieta, o bella mia Ragusa,
là, sul ciglione del viale Carrubelle,
col deretano sferzato come s'usa
sorgerà il monumento al Genovese….
Esulti lieto tutto il paese!
Rincarò la dose con un altro volantino “Unicuique suum” a cui seguì l'opu-scolo “Due estremi che non si toccano (l'Angelo e Satana)”. Egli proponeva, nello sciagurato caso che il monumento si facesse, di mettere un cartiglio con la lettera di Cavour al governo francese: “Desideriamo ardentemente liberare il Piemonte, l'Italia e l'Europa intera da questo infame cospiratore, che è divenuto un vero capo di assassini”.
In alternativa chiedeva di erigere un monumento a Giambattista Hodierna, l'insigne astronomo ragusano, ancora sottovalutato, e di cui solo in tempi recenti si è valorizzata l'opera. Fu talmente convincente e la sua perorazione così appassionata che riuscì a far fallire il progetto. La nuova Ragusa optò, molto più modestamente, di intitolare una strada a Mazzini, l'attuale Corso Mazzini.
Nel 1928 promosse anche il restauro della cupola di San Giorgio facendo cambiare gli antichi vetri, bianchi e di piccole dimensioni, con altri azzurrati; una fotografia lo ritrae sull'impalcatura assieme alle maestranze.
Per l'occasione fu fatta una cartolina con la cupola priva di vetri.
Ma non fece solo quello: tentò di farla affrescare e il 27 giugno 1928 ricevette dal prof. Gagliano la risposta. Questo tentativo fatto dal canonico era assolutamente sconosciuto ed è venuto alla luce durante le ricerche d'archivio effettuate per la stesura di questo articolo. In questo stesso anno si adoperò per dotare la chiesa di vetrate istoriate e, dopo avere consultato molti artisti e molte fabbriche, la scelta cadde su Amalia Panigati e sulla vetreria di Luigi Fontana di Milano che eseguì, con cottura a muffola, le 33 vetrate, legando a piombo migliaia di pezzi di vetri colorati. L'opera fu terminata nel 1930 e la vetrata più grande (mt.3x2), che si trova sulla facciata della chiesa con San Giorgio a cavallo che uccide il drago, fu offerta dal canonico. Alla spesa, molto rilevante, contribuì tutta la cittadinanza e sotto ogni vetrata si trova il nome di chi l'ha offerta: altri tempi! Uomo di grande coraggio non si sottomise all'arcive-scovo di Siracusa; ingiustamente accusato di avere scritto un libello anonimo contro il segretario dell'arcive-scovo, fu sospeso a divinis, ma non si arrese.
Portò le sue ragioni davanti al Tribunale Ec-clesiastico e poi a quello di Catania. Assolto da quello ecclesiastico, quando stava per essere pronunciata la sentenza (a suo favore) dal tribunale catanese, per evitare la condanna del prelato, da quel gran signore e persona generosa che era, ritirò la querela e lasciò decadere il procedimento evitando all'arcivesco-vo l'umiliazione di una sentenza sfavorevole.
Quando fallì una ban-ca locale si unì ai dimostranti che chiedevano di riavere i loro risparmi. Fu accusato di essere un provocatore e un sovversivo, ma li appoggiò sino a quando non ottennero un risarcimento. Anticonformista e disinteressato profuse tutte le sue energie a favore della sua città e degli altri, pronto a sostenere le ragioni dei più deboli. Quando era amministratore dell'istituto “Boccone del Povero” vi conobbe una giovanissima ragazza, di famiglia poverissima, molto bella, che voleva sposare un carabiniere di cui era molto innamorata. Invece fu costretta dal fratello, con minacce di morte, a sposare una persona molto più grande di lei, ma ricca; il matrimonio andò subito a rotoli. La ragazza abbandonò il marito e tornò a rifugiarsi nell'ospizio, perché tra l'altro completamente priva di mezzi di sussistenza. La vicenda, raccontata dalla superiora, commosse il canonico che, a sue spese, intentò presso la Sacra Rota la causa di annullamento, ed essendo andata a buon fine, celebrò lui stesso il matrimonio con il carabiniere nella chiesa di Santa Teresa. I due poi lasciarono la Sicilia per non incorrere nella vendetta del fratello di lei. Era anche misericordioso. Quando gli inglesi paracadutarono nelle campagne della Palazzola un battaglione, la notizia arrivò subito a Ragusa.
Dal Distretto il Comandante inviò un plotone sul posto. I soldati, appena arrivati, videro un paracadutista e presero ad inseguirlo inoltrandosi nella campagna per cercare altri soldati.
Ma caddero in un'imboscata e saltando un muretto si imbatterono in altri paracadutisti che li falciarono tutti con una mitragliatrice. Sopravvisse un solo italiano che si salvò nascondendosi sotto un compagno morto. Dopo alcuni giorni il canonico si recò sul posto, tra l'altro vicino alla sua campagna, e trovati i poveri resti dilaniati, ancora abbandonati sul terreno, li seppellì provvisoriamente, raccolse gli effetti personali dei caduti e li spedì alle famiglie. Profuse a piene mani del suo per restaurare e abbellire le varie chiese di cui era Rettore: Sant'Antonino, San Bartolomeo, Sant'Agnese, San Rocco e Santa Barbara, proprio sotto la sua casa, chiamata anche oggi “la chiesa del Canonico Nifosì”. Predilesse la sua amata chiesa di San Giorgio e spese soldi e fatiche per conservarla e abbellirla.
Ricercatore competente e appassionato, studioso, con una solida cultura umanistica, ha pubblicato una ventina di opuscoli che illustrano le opere d'arte della nostra città, preziosa e insostituibile fonte di informazione per tutti gli studiosi che si accostano a questa materia.
E' stato anche un buon poeta, ma la maggior parte delle sue poesie, in possesso della famiglia, sono inedite. Scrisse di sé stesso: “Studio sino a tarda ora, amo fare conoscere le bellezze del mio vetusto paese…..Ho dimostrato ai miei concittadini che ho lavorato, lavoro e lavorerò sino alla morte per la mia città”.
Queste poche parole, quasi un testamento “spirituale”, consegnano il canonico Ignazio Nifosì, arcidiacono e camerlengo della venerabile Collegiata della Chiesa Madre di San Giorgio, alla memoria di noi posteri e alla storia di Ragusa.
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