Ragusa Sottosopra
n.4 del 26/07/2011
Cava Santa Domenica Questa sconosciuta
Saro Distefano, giornalista
Un giardino pubblico al centro della città. Un tempo cuore pulsante dell'economia cittadina.Oggi ancora ignorata dai ragusani malgrado alcuni interventi di riqualificazione finalizzati alla valorizzazione e fruizione della vallata e delle latomie
Da sempre è al centro della città. Ad essere precisi, mentre un tempo ne segnava il limite verso Sud, adesso la taglia in due per quasi l'intera sua lunghezza. È la Cava Santa Domenica, divenuta isola verde in pieno centro cittadino, anche se del giardino pubblico mantiene solo il colore verde, appunto. Per il resto, non è per nulla fruita dai cittadini, causa un non agevole accesso, e soprattutto la difficoltà del percorso che pure è stato recentemente attrezzato anche per le semplici passeggiate.
È mia opinione che i ragusani fruiscono poco, o per nulla, la Cava Santa Domenica, per tutto un altro motivo, atavicamente radicato nelle loro menti, seppure inconsapevolmente. La cava, e sopratutto il tratto che corrisponde con la più antica parte del centro, ovvero quello compreso tra la Villa Margherita e il Ponte San Vito, è da individuarsi come una zona che per secoli, e fino a non oltre quaranta o cinquanta anni fa, era fortemente produttiva.
Era, la Cava Santa Domenica, una “zona industriale” ante-litteram, lungo la quale si sposavano perfettamente due delle tre più importanti attività “primarie” della Ragusa antica: la produzione agricola in-tensiva, massimamente quella orticola, per via della possibilità di perenne irrigazione grazie all'acqua del torrente che vi scorre anche impetuoso durante l'inverno, e poi l'estrazione, e conseguente lavorazione, della pietra bianca calcarea da costruzione.
Quelle enormi grotte che ancora oggi possiamo ammirare, le latomie, gemelle delle aperture della parallela Cava Gonfalone, sono infatti quanto rimane di una florida attività mineraria.
La roccia calcarea bianca si estraeva col metodo dei “pilastri abbandonati”, ovvero cavare una ventina di metri in lunghezza e lasciare poi almeno setto o dieci metri di pilastro per sostenere il soffitto della grotta. Un metodo utilizzato da tempo immemore anche nelle gallerie di Tabuna a sud della città, dove ad essere estratta era la roccia bituminosa, ovvero l'asfalto.
In alcune delle enormi latomie della Cava Santa Domenica erano state costruite alcune grandi “carcare”: servivano alla produzione della calce (prodotto un tempo fondamentale, e non solo nell'edilizia). Si tratta di recinti normalmente circolari, fatti di pietra “viva”, cioè il calcare duro, quello cristallino.
All'interno il “carcararo” caricava, cioè accatastava pezzi non molto grandi sopra un cumulo di legna e carbone; dopo aver raggiunto una determinata temperatura, e per un certo periodo di tempo, ne otteneva la calce.
Di quelle “carcare” ne esistono ancora due o tre ben conservate all'interno delle latomie di Cava Santa Domenica e, insieme agli antichi colpi di piccone, ai pilastri fessurati, allo stillicidio dell'acqua che proviene dalla città soprastante, formano un ambiente davvero unico. Un microclima stabile, umido e mai eccessivamente caldo né freddo. Una vegetazione che arriva fin dentro le grotte, fin dove arriva la luce solare, che è poco definire lussureggiante, con piante enormi, noci, fichi, mandorli, ulivi e carrubi e poi, fatto singolare ma fino ad un certo punto, anche i “relitti” di antichi vivai, di passate coltivazioni: fiori e piante rinselvatichiti.
E il tutto esattamente al centro della nostra città, sotto quei ponti sui quali passiamo in macchina decine di volte al giorno, quasi del tutto ignari di quel mondo antico e diverso che è letteralmente sotto di noi e che di noi, dei nostri predecessori, conserva una lunga storia che bene sarebbe, anzi doveroso, perpetuare, quantomeno provarci a tutelarla, conservarla e so-prattutto trasmetterla alle future generazioni.
Un segnale utilissimo in tal senso è arrivato recentemente dal “Laboratorio Insieme in Città”, creazione di Giorgio Flaccavento finalizzata a creare una “mappa di comunità” seguendo un percorso fatto di studi e statistiche, ma anche di “semplici” passeggiate nel centro storico cittadino.
Iniziativa, quella della passeggiata guidata dal professor Flaccavento, che ha visto centinaia di cittadini calpestare antiche basole e guardare vecchi palazzotti, casupole dimenticate, financo una chiesa (alle spalle di via Cavaliere De Stefano), sconosciuta ai più.
Per la visita alla Cava Santa Domenica Giorgio Flaccavento si è fatto collaborare anche da Saro Brinch, profondo conoscitore del territorio ibleo, che ha illustrato con dovizia questo mondo semisotterraneo, semisconosciuto, seminascosto.
E che potrebbe diventare il centro, oltre che geografico, anche sociale della città.
E senza dimenticare il passato, che spunta prepotente con l'ammonimento contenuto in una antica ed anonima iscrizione “Cariu sta ruta 1784”
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