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Ragusa Sottosopra

n.4 del 26/07/2011

La costruzione del Ponte Padre Scopetta

Saro Distefano, giornalista

foto articolo

Un'opera strategica per l'economia di quei tempi che si avviava verso una fase industriale moderna con l'estrazione e la lavorazione della roccia bituminosa ragusana



Sono trascorsi centosettantacinque anni da quel 21 febbraio 1836, quando moriva Frate Giambattista Occhipinti. Aveva 66 anni.
Era infatti nato a Ragusa il 27 aprile 1770 nella grande famiglia che per “nciuria” aveva ed ha tuttora “Scopetta”. Quel soprannome che per de-cenni venne trasmesso anche al Ponte che i ragusani a partire dal 1937 e fino ad oggi - conoscono come “Ponte Vecchio”. E si capisce perché dal 1937: perché nell'agosto di quell'anno venne inaugurato da Benito Mussolini il Ponte che, per evidente conseguenza, divenne il ponte “Nuovo” (ma anche in quel caso il nome corretto del viadotto sarebbe “Ponte Filippo Pennavaria”, curiosa caratteristica, visto che anche il terzo e finora ultimo ponte sulla vallata Santa Domenica, ovvero il “Ponte Papa Giovanni XXIII”, costruito nel 1964 con le royalties della Gulf Italia, concessionaria dei pozzi di petrolio nel territorio comunale, è da tutti appellato come “Ponte San Vito”, dalla chiesetta settecentesca che sorge quasi all'inizio del viadotto).
Quando venne costruito il secondo ponte che, attraversando la Cava Santa Domenica migliorava il necessario e sempre più intenso collegamento tra il centro storico ed il quartiere dei Cappuccini, all'epoca dfoto articoloiventato ça va sans dire “quartiere Littorio”, il Ponte Padre Scopetta risultava già troppo angusto, progettato in muratura secondo tecniche antiche di millenni, adatto ad un traffico pedonale e al massimo per i carretti a due ruote con il mulo alle aste, non certo per consentire, come farà invece il Ponte Nuovo, un doppio senso di marcia alle automobili ed ai mezzi pesanti.
E come sovente avviene nella storia, il frate cappuccino, che tanto si era speso per convincere le autorità borboniche a finanziare la costruzione di un ponte che scavalcasse la Cava Santa Domenica, non riuscì a vedere completata la “sua” opera. A dire il vero non la vide nemmeno iniziare. Infatti morì nel febbraio 1836 ed i lavori, secondo il progetto dell'ingegnere catanese Giarruso, presero il via l'anno successivo, per poi concludersi nel 1843, così consegnando alla città un viadotto in due ordini di archi, quattro nella parte inferiore e dieci sulla superiore, di centoquattordici metri di lunghezza, quaranta di altezza e con una carreggiata di tre metri e mezzo. Il frate cappuccino è ancora adesso pacificamente considerato l'autore principale di un'opera che ha di fatto consentito lo sviluppo di una nuova parte della città, quasi una “terza” città (dopo l'antichissima Ibla e la post-terremoto Ragusa Superiore), dalle potenzialità che già allora dovevano apparire enormemente superiori alla parte settecentesca, qufoto articoloella, per intenderci, costruita tutt'attorno alla Cattedrale di San Giovanni Battista nella spianata del “Patro”. Il Ponte di Padre Scopetta venne finanziato e costruito perché il cappuccino aveva chiaramente dimostrato come, raggiungere oltre la cava il convento voluto dall'Ordine al quale anch'egli apparteneva (quello dei Frati Minori), fosse impresa difficoltosa e quotidiana per centinaia di ragusani che erano costretti a scendere fin sull'al-veo del torrente, per poi risalire la “costa” percorrendo un lungo e ripido sentiero (alcuni tratti del quale sono ancora oggi visibili oltre che perfettamente distinguibili nelle antiche foto della vallata), camminamento molto incerto tra pietre sempre umide e orti floridi quanto insalubri. Ma il fatto certamente chiaro ad un grande uomo come Giambattista Occhipinti è che quella impresa giornaliera era da risparmiare non soltanto ai frati, ai loro diretti collaboratori, a qualche artigiano e commerciante che aveva già stabilito casa e bottega nella zona che poi diverrà “traspontina”, ma era impresa faticosamente giornaliera anche per migliaia di “picialuori”, quei lavoratori che raggiungevano le contrade Tabuna, Pitrudi, Curtulidu, Cava Pici, Sdirrubatu, per cavare la roccia bituminosa, che poi, lavorata, diventerà l'asfalto esportato in tutto il mondo. Esiste una singolare ma non casuale coincidenza di date nella vicenda che secondo noi legafoto articolo strettamente le cave e le miniere di “petra pici” e il ponte di Padre Scopetta. Il frate cappuccino muore nel 1836, dopo aver speso buona parte della sua vita pubblica a preparare il terreno per quell'opera pubblica che all'epoca doveva apparire impresa notevole, tecnicamente e finanziariamente.
I lavori, come abbiamo visto, cominciano l'anno successivo e arrivano a conclusione sette anni dopo (ma il ponte viene utilizzato già da prima, perché pare che il cordolo che divide il primo dal secondo ordine di archi, poi diventato una condotta idrica, venne reso percorribile ai pedoni già durante i lavori di costruzione). Un anno dopo l'inizio dei lavori, quindi nel 1838, si può individuare l'inizio della fase industriale “moderna” dell'e-strazione e lavorazione della roccia bituminosa ragusana. Fu allora che arrivarono in città tre svizzeri, di professione militari al servizio del Re delle Due Sicilie, il generale Samberg (in alcune carte diventa De Sonemberg), il colonnello Meyer ed il chimico Doxlkofer. I tre chiesero ed ottennero l'autorizzazione a scavare poz-zi in alcuni terreni affittati allo scopo. La loro impresa era evidentemente finalizzata ad avviare la fase industriale della esplotazione e della lavorazione di roccia, cosa che avvenne effettivamente solo pochi anni dopo, con l'arrivo in massa di quattro grandi compagnie minerarie, una francese, la “Compagnie Generale des Asphalte de Francefoto articolo”, e tre inglesi: la “H. & A.B. Aveline e Company”, dei fratelli inglesi Henry e Alfred Benjamin Aveline, la “United Limmer & Vorwohle Rock Aspalthe Company”, e la “The Val de Travers Asphalte Paving Company Limited”. Attività industriale di esplotazione di migliaia di tonnellate l'anno di roccia, fino a tutto il 1968.
Appare evidente che il frate non avrebbe potuto ottenere finanziamenti e approvazioni per costruire un ponte, all'epo-ca grandioso, solo perché i suoi confrati erano stanchi di scendere nella vallata Santa Domenica e poi risalire. Ma perché, con i frati, erano diventati migliaia i ragusani che in quella parte “nuovissima” di città dovevano recarsi tutti i santi giorni. Ma i meriti di Padre Scopetta comunque rimangono tutti. Occhipinti non era un qualsiasi fraticello, e lo si capisce dalla sua seppur breve “carriera” nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Appena nominato venne mandato a Napoli, dove riuscì a fare parte della corte borbonica col ruolo di confessore della famiglia reale (probabile quindi che al momento di chiedere al Re “la grazia” per la costruzione del ponte nella sua città natale fece riferimento a questa fase della sua vita monacale) e dal 1816 a Tunisi col ruolo di “prefetto apostolico”. Oggi Padre Scopetta è ricordato all'imbocco del “suo” ponte dalla parte di San Giovanni, con un artistico busto scolpito in pietra di Nunzio Dipasquale.

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