Ragusa Sottosopra
n.4 del 26/07/2011
Sfruculiannu la memoria ...pinsannu e riscurriennu cu l'amici di Carmelo (Mimì) Battaglia
Silvio Biazzo, giornalista
Ma è lo stesso autore che nella sua introduzione induce il lettore a percorrere la “strada più semplice” per addentrarsi nelle significazioni più specifiche del suo lavoro: e da questa lettura traspare in modo chiaro il senso di appartenenza forte e convinto alla sua terra natia, e lo fa affondando il suo sapere nella tradizione degli avi, quasi nella notte dei tempi.
Com'è noto la Sicilia sin dagli albori della sua storia conosciuta e poi oltre - certamente anche per la sua posizione geografica che la colloca al centro del Mare Nostrum, il Mediterraneo - è stata dominata da una miriade di popoli stranieri: siculi, greci, romani, bizantini, arabi, normanni, angioini, aragonesi, per arrivare ai borboni ed all'Unità d'Italia. Ed in questo bailamme di dominazioni i siciliani sono stati oggetto di soprusi ed ingiustizie stoicamente sopportate e poi superate. Ma nonostante ciò il popolo siciliano ha sempre conservato intatto lo spirito di sacrificio e la laboriosità che gli hanno costantemente consentito di riemergere, ed anche a testa alta.
L'avvento della stessa Unità d'Italia - scrive Battaglia - ci ha lasciati in stato di arretratezza nei confronti del resto del paese (causa prima del successivo triste fenomeno dell'emigrazione mai conosciuta prima). Poi si sono succeduti i due catastrofici eventi bellici mondiali, poi ancora il triste ventennio cui segue “l'invasione” degli alleati e la liberazione dal fascismo, e per finire la ricostruzione ed il boom economico: nonostante tutto questo i siciliani non hanno mai smesso di amare la loro terra (anche se distanti migliaia di chilometri nelle lontane terre in cui sono stati costretti ad emigrare) ed hanno dimostrato sempre una ferrea volontà di riscatto e di progresso.
Mimì Battaglia, con estrema umiltà, così continua: “Fatta questa premessa, non mi sento di andare oltre perché non sono né uno storico, né tanto meno uno scrittore.
L'unica mia presunzione è quella di tentare di scrivere ciò che ho sentito raccontare, o che io stesso ho vissuto nel XX secolo, così come si è impresso nella mia mente e nella mia memoria”, e si possono leggere, ad esempio, stili di vita, ambienti, attività, linguaggi, oggetti che hanno accompagnato la sua esistenza dalla fanciullezza alla maturità (oggi è un ultraottantenne), nonché come ha letto e percepito il laborioso cammino compiuto dalla popolazione iblea nell'arco di questi ultimi cento anni (dal lavoro della campagna alla civiltà della pece, dalla elevazione a Provincia al “miraggio” delle estrazioni petrolifere, etc.). L'autore, sempre con estrema sincerità, confessa che per redigere il suo romanzo non ha attinto ad alcuna documentazione storica (e quindi non la può esibire), ma si è basato solo sul suo modesto bagaglio di ricordi, ricordi di un ex coltivatore diretto con la sola quinta elementare. Consapevole che tanti altri, prima di lui e meglio di lui per competenza, conoscenza e proprietà di linguaggio hanno descritto e raccontato il nostro territorio, l'autore non si è scoraggiato e nonostante ciò ha voluto dare il proprio contributo augurandosi che anche da queste sue piccole memorie qualcuno ne possa trarre utilità (la lettura del libro gli rende oltremodo merito in quanto il suo contenuto è avvincente e fa piombare il lettore “più maturo” nell'oblio dei ricordi).
Il volume comprende due parti, la prima arriva fino al dopoguerra, nella seconda tratta temi di attualità quali gli anni di piombo, la crisi della democrazia (la politica che si è allontanata dai cittadini), il degrado morale (delinquenza, corruzione, ingiustizia sociale, malgoverno e quant'altro). E poi ancora si sofferma sulla scuola (uno Stato è veramente moderno se inizia a formare i cittadini di domani cominciando dai bambini appena nati), sull'ordine pubblico che dovrebbe essere potenziato, sulla sanità (oggi abbiamo una sanità in cui sono più le persone addette all'amministrazione che quelle addette alla cura degli ammalati), e poi parla di giustizia sociale (l'equa distribuzione della ricchezza non significa togliere a chi lavora per dare a chi non lavora, ma mettere in condizione tutti di lavorare, di produrre, secondo le proprie attitudini). A proposito di economia dice ancora: Un sistema utile per l'economia collettiva è ascoltare la voce della gente…certe soluzioni ai problemi le possono dare meglio di tutti coloro che tali problemi li vivono quotidianamente.
Infine Carmelo Battaglia ha affrontato anche il tema del federalismo che “se fatto con le giuste regole può essere un bene”, perché non dobbiamo dimenticare che noi abbiamo un paese diviso in due, il nord ricco, il sud povero. E qui lo scrittore si riallaccia al periodo dell'Unità d'Italia quando l' attesa del popolo del sud era di vedere costituita una grande Nazione. Purtroppo non è stato così: “da allora il Sud è stato trattato come una colonia….in conclusione è stato il Sud che ha sviluppato il Nord”.
Avviandosi alla conclusione del suo lavoro l'autore confessa che ha scritto questo libro, continuazione del suo precedente “Il coraggio di Essere”, per stimolare i “suoi nipotini”, e come loro la generazione futura, ad essere protagonisti positivi e non soltanto spettatori nella società di oggi, contribuendo a farla crescere e renderla migliore anche con piccoli gesti ingenui e umili testimonianze di vita vissuta sempre con entusiasmo.
Perché nella vita bisogna saper cogliere, nel bene e nel male, alla luce della speranza cristiana, il senso positivo del nostro cammino terreno, nell'attesa, come si legge nel libro dell'Apocalisse di San Giovanni, di cieli nuovi e terra nuova…dove il Signore renderà a ciascuno secondo le sue opere.
Il volume è impreziosito da originali foto d'epoca, mentre in copertina e lungo il testo troviamo le riproduzioni di oli del Maestro Salvatore Cascone, foto di Giuseppe Leone tratte dalla pubblicazione a cura dell'Università Popolare di Ragusa per la Genius Loci Editrice Ragusa.
Aggiungi questo link su: