Inizio Pagina

Stampa questa pagina

Ragusa Sottosopra

n.3 del 07/06/2005

52 menu per ogni
settimana dell’anno
seguendo le stagioni
e la memoria
A cena
sull'altopiano
ibleo

singolare viaggio
nella gastronomia
iblea tradizionale

Carmelo Arezzo

foto articoloTrattare il bel libro di Maria Grazia Scivoletto “A cena sull'altopiano ibleo” (Pungitopo 2004) come una raccolta di ricette sarebbe assolutamente riduttivo. Si tratta di ben altro perché c'è dentro il gusto della narrazione, la partecipazione emotiva di una riscoperta come chiarisce l'autrice nella introduzione, il senso forte di una appartenenza culturale e geografica ad un territorio, la tentazione confessata di riprendersi un passato messo temporaneamente da parte, la vocazione di un impegno per il recupero e la valorizzazione di prodotti del territorio, di sapori ed odori, di colori ed aromi.
Aver già voluto scandire nel tempo, lungo le cinquantadue settimane dell'anno, e seguendo le stagioni sul calendario, dall'inverno alla primavera, dall'estate all'autunno per poi tornare all'inverno, il suo viaggio nella gastronomia iblea, rivela la intenzione diaristica della Scivoletto che mai si separa dalla sua esperienza personale di cuoca per vocazione (forse tardiva) e che accompagna il lettore tra i fornelli, nella presentazione di cinquantadue cene che mettendo insieme tutti i piatti della tradizione gastronomica dell'altopiano tra Modica e Ragusa, fanno recuperare i piatti centrali della nostra cucina, quella che viene dalla esperienza contadina e che quindi si è arricchita dei prodotti dell'orto o della masseria, ma che riesce anche in una equilibrata rivisitazione delle nostre tavole ad affiancare anche nuove originali suggestioni da “gourmet”.
Maria Grazia Scivoletto ci racconta il metodo di questo recupero, rievoca per il lettore la gestualità della preparazione, sottolineandone la grazia e la magia, il fascino e la puntualità, e non si sottrae, mentre inanella la cronaca della preparazione della cena, a dare voce alla memoria, alle sue sensazioni, alle impressioni, ai richiami storici, al senso intimo di una pietanza o di un ingrediente.
Dietro ogni piatto presentato, sempre peraltro all'interno di un equilibrato menu che non delega al caso il suo mix, ma anzi sottolinea la ricchezza di una esperienza in cucina che è di recupero e di fantasia ad un tempo, c'è la voglia dell'autrice di restituire al lettore tutto il variegato mondo della sua memoria tra l'infanzia e la giovinezza, segnato dal ricordo del suono di una parola dialettale, di un proverbio o di una “miniminagghia”, e dall'immagine di una pentola particolare o di un utensile specifico che la nostra etnografia ha ormai relegato al ruolo di reperto, rischiando di dimenticarne e di annullarne la utilità e la fondamentale strumentalità rispetto alla qualità della cucina.
Così leggendo il libro, si scopre la sag-gezza di una cucina tantofoto articolo popolare quanto raffinata, capace di valorizzare le materie prime di un territorio straordinariamente ricco, attenta a non trascurare le ricorrenze delle feste, queste pietre miliari della nostra cultura tradizionale e familiare che in sintonia con la stagione e con il clima hanno sempre saputo restituire alla vista ed al gusto di commossi consumatori un percorso fatto di irripetibili sapori.
E questo è uno degli altri meriti del libro, la valorizzazione del prodotto tipico del territorio, la sottolineatura mai tanto attuale quanto oggi che è cresciuta la cultura enogastronomica media e i prodotti di qualità riescono a trovare sia pure con mille incertezze i loro meritati mercati di nicchia, che un olio può essere ed è diverso da un altro, che un vino ritrova nella sua geografia territoriale altri sapori ed altri odori, che un formaggio sarà differente se il pascolo avrà avuto un certo percorso climatico, che le verdure spontanee del territorio raccolte in primavere luminose e colorate diventeranno magiche nel gioco delle frittate o delle “scacce”, che le carni di allevamenti tradizionali saranno le sole a poter consentire certi piatti segnati da insolite irripetibili fragranze.
Va via così il libro della Scivoletto, e ci lascia intatto il suo vocazionale gusto per il bello, indicandoci anche le suggestioni per tavole imbandite in cento modi diversi, in sintonia con il luogo ed il menu, tra le lusinghe peraltro mai esibite o vanesie, di cene importanti per importanti occasioni, e la semplicità della ceramica di una vasellame più ordinario dietro il quale però in tovagliati colorati ed in tavole più modeste, si scopre il profumo di una cucina che è diventata ormai (come confermano le guide dell'enogastronomia più accreditate e le cronache della ristorazione del territorio) un riferimento fondamentale della qualità della cucina italiana e che sta facendo di questa provincia un angolo del Paese che è arricchito da un ventaglio di attrattive, tra le quali quella della cucina e dell'agroalimen-tare rappresenta non certo un tassello secondario.
A scoprire questo mondo, con la semplicità di chi con passione si è lasciata trascinare davanti ai fornelli, rievocando la ricchezza insostituibile della nostra tradizio-ne familiare e contadina, certamente aiuta questo libro di cucina che è anche testimonianza di amore per la propria terra ed efficace testimone passato alle generazioni che verranno per una sempre più attenta considerazione per quei valori forti, quei saperi e quei sapori che fanno l'identità di una popolazione ed ai quali dobbiamo riuscire, oltre il globale ed il locale, a non rinunciare.

In questo numero:


Altri numeri



Aggiungi questo link su:

  • Segnala via e-mail
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su OKNOtizie
  • Condividi su del.icio.us
  • Condividi su digg.com
  • Condividi su Yahoo
  • Condividi su Technorati
  • Condividi su Badzu
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Windows Live
  • Condividi su MySpace
Torna a inizio pagina