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Ragusa Sottosopra

n.6 del 30/11/2011

La Chiesa dell'Itria

Andrea Ottaviano, Storico

foto articolo

Edificata tra il 1350 ed il 1391 fu ricostruita, dopo il terremoto del 1693, nel primo ventennio del Settecento. Fino al 1866 fu in possesso dell’Ordine di Malta



L'Ordine Ospitaliero, che gestiva chiesa e ospedale, era ben ricco; alla chiesa dell' Itria erano legati 90 benefici sacri fondati tra il 1490 e il 1800, cappellanie con Messe da celebrarsi nei vari altari, rendite fondiarie per esigenze generali di culto, ricorrenze di festività particolari come la celebrazione della Festa della Madonna, oltre a quelle canoniche di Pasqua, Natale, ecc. Di queste rendite facevano parte i proventi del feudo di Sant’Icono posseduto da tempi antichissimi - forse faceva già parte delle donazioni del Conte Goffredo - e quelle della “fiumara di Safoto articolon Cataldo”, che veniva bandita per 19 onze e 600 carichi di grano l'anno.
A queste rendite si aggiunsero quelle della Commenda istituita nel 1626 da Frà Blandano Arezzo La Rocca, barone di Serri, cavaliere gerosolimitano. Ad essa era assegnata una rendita di 300 scudi l'anno gravanti sul fondo “Scorsonara”; l'Ordine nel 1627 inviò due ispettori, Frà Florindo Canale e Frà Francesco Paternò per accertare “de visu” l'entità di questa considerevole dote (sino al 1817). La Commenda era soggetta, per questo possedimento, a censo di salme dieci di frumento da pagarsi al Conte di Modica. La chiesa, esistente prima del terremoto del 1693, aveva due navate, una navata più grande dell'altra, separate da cinque colonne, un tetto a capriate, due pofoto articolorte d'ingresso e una disposizione ben diversa da quella attuale. L'abside con l'altare maggiore era nella navata di sinistra: vi era una statua lignea della Madonna posta davanti ad un quadro di San Giuliano: sempre all'interno dell'abside vi era il quadro dei Santi Giovanni e Giuliano. Seguivano tre altari sormontati da tre tele: Maria SS. del Rosario con San Giuseppe, San Filippo Neri e San Biagio.
Il campanile era situato a sinistra dell'abside; nella navata sinistra si aprivano “due porte verso mezzogiorno”; anche la posizione degli altari e delle tele era diversa rispetto a quella attuale.
Nella navata destra, più piccola (non più corta come generalmente si crede, ma più stretta), vi era un dipinto con San Gregorio e un'altra piccola tefoto articolola con Sant'Ippolito; vi era anche un altare dedicato a San Pietro (del quale si ha notizia solo in un documento del 1710) sotto il quale venivano seppelliti i poveri, per i quali peraltro vi era una grande cripta al centro della chiesa. I confrati avevano una sepoltura a parte. Non è noto quanti danni dovette arrecarle il terremoto, ma nella visita del 1696 Mons. Asdrubale Termini la trovò aperta al culto e a partire dal primo Settecento e sino al 1764 vi si eseguirono importanti lavori.
Viene certamente demolita la vecchia chiesa, della quale rimangono una colonna ottagonale, con i resti del capitello, murata in un angolo della sacrestia, e i resti di un portale murato nella parete della cappella della Madonna del Chiodo, sul lato destro della facfoto articolociata, esposta a mezzogiorno. Un importante atto notarile del 1602 (not. Giacomo Occhipinti-Rollo Messa dell'Alba) dà un'indicazione di come avrebbe potuto essere disposta l'antica chiesa e di come avvenne l'ingrandimento per giungere a quella attuale.
L'atto riporta: “la Chiesa di San Giuliano deve al Cippo ogni anno tarì 15 come erede del fu Mario Giummarra per il luogo del magazieno per mastro Vincenzo Spinella”. Il censo pagato all'Opera cessa prima del 1717: il magazzino fu quindi riscattato per consentire l'ampliamento.
Considerando le preesistenze nell'attuale edificio (la colonna ottagonale, i resti del portale, la piccola finestra sopra il portale) se ne può ipotizzare, con buona approssimazione, posizione e consistenza. La chiesa erafoto articolo più piccola e più bassa di quella attuale, con un prospetto quasi anonimo. La ricostruzione della pianta, sovrapposta a quella della chiesa attuale, è stata realizzata dall' arch. Laura Baragiola, progettista della nuova pavimentazione, tenendo anche conto delle descrizioni contenute in vari documenti. La ricostruzione barocca ebbe inizio già nel primo ventennio del 1700. Nel 1710 si ricostituisce la sepoltura per i poveri. Nel 1717 si registra un “Breve Apostolico” per l'altare privilegiato di San Giuliano della Commenda.
La nuova chiesa, già funzionante, anche se incompleta, nel 1722 viene benedetta, con gran concorso di cavalieri gerosolimitani e di popolo, con l'intervento della Croce e del Clero di San Giovanni. Non si conosce il progetfoto articolotista, ma la facciata era già completa nel 1740, come attesta la data sul timpano. E' a due ordini, con tre portali, e semipilastri con capitelli compositi che sull'abaco hanno una maschera. Nel primo ordine ha tre porte, lo spazio è scandito da tre semipilastri, su alti piedritti. Sopra le porte laterali, con cornice ad omega, si aprono due finestroni ovali.
Il portone centrale, stretto tra due eleganti paraste, ha una elaborata cornice il cui interno è arricchito da decorazioni fogliacee. Il tutto è sormontato da due volute e dal finestrone rettangolare che conclude la struttura.
Una trabeazione separa il primo dal secondo ordine, che ha pilastri a guisa di balaustra; una semplice cornice chiude la facciata a capanna. Il campanile, la cui pafoto articolorte inferiore non è stata interessata alla ricostruzione barocca, è coronato da un cupolino ottagonale che ha sui lati grandi vasi fiorati di maiolica di S. Stefano di Camastra risalenti al 1756. Le vele di maioliche azzurre sono state rifatte alcuni anni fa, identiche a quelle cadute nel corso dei secoli.
L'interno della chiesa è diviso in tre navate da dieci colonne con capitelli dell'ordine corinzio, nel cui echino le foglie di acanto sono sostituite da foglie di mandorlo. Nel 1746 era già completo l'altare maggiore con la fastosa tribuna alla cui realizzazione, a partire dal 1742, lavorarono molti componenti della famiglia Cultraro, compreso il capostipite Carmelo. La nicchia dietro la tribuna, contenente una statua della Madonna Addolorata confoto articolo un ricco apparato scenico, è coperta da una tela settecentesca della Madonna Odigitria con il Bambino Gesù, sotto i cui piedi si apre una scena con il porto della Valletta (i Cavalieri si trasferirono a Malta nel 1522, quindi il porto rappresentato è quello di Malta). La navata destra è conclusa da un ricco altare con un Crocifisso di cartapesta della prima metà del Settecento, e due statue della Madonna e di San Giovanni Evangelista. Nei plinti delle colonne angeli alati reggono i simboli della Passione, le colonne tortili e tutto l'altare sono arricchiti da fiori e frutta: il cartiglio posto in un riquadro collocato dentro il timpano con la data 1741, è attribuito alla famiglia Cosentini, alla quale apparteneva la sepoltura posta ai suoi pfoto articoloiedi. Di epoca successiva è l'altro altare di questa navata, elegantissimo, già di gusto rococò.
Sul tronco delle colonne sono scolpite ghirlandine al posto delle scanalature e sui capitelli dell'ordine corinzio poggia una trabeazione con architrave, fregio e cornice segmentati e riccamente decorati. La struttura è conclusa da un timpano ad omega che racchiude il cartiglio con la data 1758, e da due cornici laterali che sembrano sospese nell'aria. Nella tela settecentesca della Fuga in Egitto, alla quale è dedicato l'altare, la Madonna che tiene nella mano un Rosario con la Croce chiaramente visibile, è una vera stranezza, poiché il simbolo cristiano della Croce cominciò a comparire nel V secolo, ben posteriore all'epoca che si rappresenta. Qufoto articoloesto quadro sostituisce probabilmente quello della Madonna del Rosario citato negli inventari antichi. La navata sinistra è chiusa dall'altare di San Giuliano, già titolare della chiesa, ed ha la stessa impostazione scultorea di quello del Crocifisso, con varianti nella decorazione. La tela che contiene è sicuramente quella di San Giuliano e San Giovanni attribuita a Mattia Preti (1613-1699) e risparmiata dal terremoto.
A mio parere, l'attribuzione a Mattia (o al fratello Gregorio) è più che probabile, considerando che il pittore lavorò per l'Ordine dal 1661 sino alla morte, e che dipinse oltre 400 pale d'altare, delle quali solo una piccola parte compare nel catalogo delle sue opere. Coevo a quello della “Fuga in Egitto” è l'altro altare foto articolodella navata dedicato a San Biagio. In questo manufatto sono rotti tutti gli schemi degli ordini architettonici. Le linee rette di plinti, cornici e trabeazioni diventano linee sinuose che avvolgono l'altare in un magico gioco di luci. Sulle colonne tortili decorate con delicato disegno retiforme poggiano i capitelli, obliqui, dove abaco ed echino si confondono in un groviglio di volute, di foglie e di tralci: la trabeazione è conclusa da un grande timpano spezzato con la cornice rivolta all'esterno; nel grande scudo centrale vi è la dedica a San Biagio, rappresentato nella tela sottostante.
L'organo, composito, ha le canne di facciata del carmelitano Francesco Bombace, punzonate, risalenti al primo decennio del 1700, somiere e altre canne di Giacomfoto articoloo Andronico della prima metà dello stesso secolo, con facciata coeva. E' stato ampliato intorno al 1940 dall'organaro ibleo Giorgio Gaudenzio Giummarra.Con questo prezioso organo, ricomposto utilizzando materiale fonico di altri strumenti abbandonati o distrutti dal terremoto, si completarono gli arredi di questa magnifica gloriosa chiesa, tra le più belle e raffinate della città, dichiarata dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità.

BIBLIOGRAFIA



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