Ragusa Sottosopra
n.2 del 07/04/2008
Giovanni La Rosa
La vita quotidiana nel ragusano dal Fascismo alla Repubblica
Vito Cirillo, Docente Universitario "La Sapienza" Roma
Può un'accurata ricerca storica rievocare momenti di storia inedita e di vissuto quotidiano mettendo in evidenza gli aspetti sociali e culturali di un'intera comunità appassionando il lettore dalla prima all'ultima pagina? Sembra proprio di sì, perché è quanto riesce a fare il volume pubblicato dalla casa editrice romana “Nuova Cultura” (in collaborazione con l'Ardesia Edizioni e con il patrocinio della Provincia Regionale di Ragusa) di Giovanni La Rosa La vita quotidiana nel ragusano. Dal Fascismo alla Repubblica.
In questa piacevole lettura, infatti, l'autore ci conduce per mano tra i vicoli dei comuni ragusani evidenziando uno spaccato di vita quotidiana vissuto, con le dovute differenze geografiche e storiche, da tutti gli italiani, senza confini regionali, dialettici o ideologici. Nello specifico è la storia delle dodici terre e del loro territorio ad essere protagonista, resa da La Rosa un ritratto avvincente del territorio ibleo, dal secolo scorso fino agli inizi degli Anni Cinquanta: dal prelievo dell'acqua potabile per le più comuni funzioni quotidiane, all'arrivo della corrente elettrica e della sua diffusione nel territorio ibleo; dall'evoluzione storica dei mezzi di trasporto, allo sviluppo della viabilità urbana e non. Il volume appare al lettore più attento un ritratto vivo e denso di ricordi, fatti, persone e luoghi che caratterizzano, ancora oggi come ieri, le città e le campagne del ragusano. Molti sono gli aspetti descritti con un'attenzione puntale alle fonti di storia locale scritte e orali. Tra essi: la ricostruzione delle vicende legate all'enfiteusi, “stile di vita” prima che “rapporto di lavoro” che lega la collettività ragusana allo sviluppo di un particolare rapporto di proprietà, non riducibile ad un semplice contratto di diritto privato ma, di fatto, quasi ad un sistema di vita, dando origine alla possibilità di sviluppare la terra in una forma giuridica del tutto diversa da quella in uso nelle altre zone dell'isola; l'elevazione di Ragusa al “rango” di capoluogo di Pro-vincia; la ricostruzione del contesto sociale, economico e de-mografico degli Anni Venti; i “fatti locali” collegati al “biennio rosso” (1918-1920), anni di malcontento popolare connesso al continuo crescere dell'inflazione, frutto della Grande Guerra.
Della città di Ragusa le pagine de La vita quotidiana nel ragusano offrono una panoramica “dall'alto” che descrive la città dal punto di vista urbanistico ricostruendo la storia: della costruzione di alcune opere pubbliche; del passaggio da Ragusa Ibla a Ragusa Superiore; della nascita dei tre ponti e delle stazioni, degli ospedali e di alcuni monumenti principali; dello sviluppo urbano che trasforma la vita nel quartiere, nelle case, i rapporti di vicinato e con la collettività e ponendo in rilievo quella che a Ragusa come in tutta la Penisola - è la cellula della società: la famiglia. Essa rileva una vita quotidiana di due tipi: laica e religiosa, casalinga e lavorativa, dei grandi e dei bambini, delle feste e dei racconti, dell'apparire e dell'amore che La Rosa tratta con abile spirito descrittivo e con grande capacità storica. La storia degli amori tra i giovani ragusani, ad esempio, piena di sotterfugi, di sguardi, di strizzate d'occhio e di fughe, con i suoi riti legati ai fidanzamenti ed ai matrimoni, è un momento molto intenso della lettura che fa conoscere un mondo nuovo ai giovani di oggi e rievoca ai meno giovani prassi, tradizioni e consuetudini ormai rimaste vive solo nella memoria.
In tal senso, pare particolarmente felice la scelta dell'Autore di dedicare uno spazio importante del volume ai giovani, riferendo della loro nascita, della loro adolescenza, rievocando i giochi abitualmente svolti nelle strade ragusane e nelle piazze iblee, gli anni della scuola e quelli dell'inserimento nel mondo del lavoro, che avveniva, quasi sempre, in tenera età. Ma una storia della vita quotidiana non può non tenere in considerazione lo studio dell'ambiente lavorativo locale e del suo tessuto produttivo: l'agricoltura e l'artigianato, (anche quello femminile dei famosi ricami); i maestri costruttori di attrezzi necessari soprattutto all'agricoltura; quelli “della pietra”; la nascita e lo sviluppo dell'industria, culminante nel l'ABCD, che è stata un punto di riferimento per numerose famiglie di operai e la cui valenza storico-sociale non ha bisogno di essere, in questa sede, sottolineata.
Altro aspetto rinvenibile nella precisa ricerca svolta da La Rosa pare la sensibilità, evidenziata nelle pagine del volume, a riguardo del rapporto tra il “fatto storico nazionale” e la reazione che esso ha generato nelle persone che lo hanno vissuto nella realtà locale, in questo caso quella iblea: i giorni e le vicende del biennio rosso ne sono una felice conferma.
Ed è proprio il rapporto indissolubile esistente tra il fatto storico e la percezione di esso nel territorio che risulta essere l'oggetto privilegiato dalle fonti di “storia orale”, abilmente utilizzate dall’Autore come confermano le testimonianze raccolte e utilizzate nel rispetto del rapporto tra storia e memoria e supportate con merito e precisione da documenti di archivio, necessari a descrivere come hanno inciso e come hanno vissuto le popolazioni locali a seguito di un fatto storico generale.
Ne è esempio la testimonianza in appendice, che ci permette di vivere intensamente, accompagnati dal testimone, la giornata in cui sono entrate le truppe alleate nella città di Ragusa, il 10 luglio 1943: momenti di ansia vissuti da un ragazzino a seguito dei bombardamenti che hanno colpito la sua abitazione e che si trasformano poi in festeggiamenti, felicità, “liberazione” dimostrata da tutta la popolazione ragusana che lasciano attonito il giovane: Rimasi interdetto e sdegnato: quelli erano “I NEMICI” e li accoglievano con applausi ed abbracci? Lo feci notare ad uno in mezzo alla calca, ma ne ebbi un manrovescio che mi fece piangere e mi indusse a tornare a casa avvilito. Vanno poi ricordate - ma solo velocemente per non togliere al lettore il gusto di leggerle - le testimonianze di persone che hanno vissuto a Ragusa e sono poi divenute illustri come Maria Occhipinti e Vincenzo Rabito, che assieme ad altri testimoni dei vari comuni ragusani, ci riportano avvenimenti della seconda guerra mondiale e della parsimonia a cui si era obbligati, soprattutto nel 1944.
Stesso può dirsi per la bella ricostruzione (proposta al lettore in dialetto e in italiano) della mietitura: un momento atteso per tutto l'anno dalla comunità iblea, vero e proprio evento “sociale” quanto “religioso”.
Quello fornito dall'autore è dunque un felice esempio di oral history, l'approccio metodologico nato negli Anni Sessanta nel mondo accademico anglosassone per poi essere particolarmente sviluppato nella Francia dell'histoire événementielle e che ora viene per la prima volta applicato alla realtà di Ragusa, evidenziando come, anche qui, la “grande storia” possa modificare le persone, il modo di vita ed i menage familiari preesistenti sul territorio. Il fatto poi che ciò sia fatto riprendendo i percorsi già tracciati dallo scrittore palermitano Giuseppe Pitrè (importante raccoglitore e studioso di tradizioni popolari) rende il lavoro ancor più originale e, per questo, una novità particolarmente felice nel quadro della pubblicistica storica della città che sarebbe un peccato per i ragusani - e non solo - lasciarsi scappare.
Vito Cirillo
Docente Universitario
“La Sapienza” Roma
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