Ragusa Sottosopra
n.3 del 09/06/2008
Il processo - Libro di Mimì Arezzo
Faustina Morgante, Direttore Responsabile
Il suo libro "Il processo" ha una singolare struttura: si potrebbe dire un misto tra il genere del saggio storico e quello narrativo. Il processo a carico del senatore ragusano Corrado Arezzo, accusato di avere gettato fango, con le sue accuse, sul re Vittorio Emanuele, il nuovo governo dell'Italia Unita e l'esercito piemontese, è in realtà un artificio narrativo che le consente di parlare di storia, ma di una storia poco conosciuta perché scomoda, la storia dell'Unità d'Italia scritta con il sangue di una Sicilia sacrificata. Che effetto ha voluto imprimere al testo con questa scelta stilistica?
Volendo trasmettere una quantità di dati e notizie, ho preferito evitare che il libro diventasse una sterile dissertazione storica. L'ideazione di questo, mai avvenuto, "processo" ha a parer mio consentito di inserire, con la forma del romanzo, emozioni e sentimenti dei protagonisti del tempo, rendendo la lettura più agile e scorrevole.
Siamo alla seconda edizione del libro, riveduta ed ampliata. Rispetto alla prima edizione cosa ha modificato e cosa ha aggiunto?
La seconda edizione comprende i risultati di otto anni di studio, durante i quali ho trovato numerose notizie e dati di grande importanza per la comprensione di quel periodo storico.
Dalla documentazione storica da lei citata attraverso i discorsi degli attori del processo (imputato il sen. Arezzo, avvocato difensore Francesco Crispi, pubblico ministero il generale Govone e presidente della Corte il generale Cadorna) ed attraverso le note esplicative al testo emerge un quadro inquietante delle dinamiche politiche che condussero all'unificazione dell'Italia. Le figure di Cavour e del re Vittorio Emanuele di Savoia non ne escono bene.
Inizia qui la "questione meridionale"?
Indubbiamente si. Questa è una terra che vive percorsi drammaticamente figli della vera storia dell'unità d'Italia. Il meridione tutto piange, oggi, condizioni difficili e "piaghe" causate dai pregiudizi prodotti anche da quei comportamenti e da quelle bugie; bugie indispensabili per coprire precise responsabilità di chi ci sottomise e derubò. Nessuno nega le colpe e gli errori da noi commessi successivamente, ma non è giusto che noi continuiamo ad essere visti esclusivamente come un popolo di poveracci o di delinquenti.
Perché ha scelto come protagonista del "processo" il senatore ragusano Corrado Arezzo?
Perché fu uno dei pochissimi potenti del tempo a ribellarsi, in qualche modo, alle rapine dei piemontesi; basta citare l'epi-sodio del trittico del Novelli, salvato dal nostro senatore (d'ac-cordo col sindaco del tempo La Rocca Impellizzeri) che creò, in un sol giorno, una pinacoteca comunale, salvando il trittico da un furto già organizzato.
Dal 1860 in poi la Sicilia, annessa al nuovo Stato Italiano, ha vissuto nel baratro della violenza, dell'usur-pazione, dell'ingiustizia, della rapina perpetrata dai "fratelli" del nord. Casse pubbliche svuotate, dazi odiosi, la leva obbligatoria, decine di migliaia di innocenti ammazzati, tra cui donne e bambini.
Come è stato possibile tutto questo?
A Cavour è possibile rimproverare tantissime cose, ma nessuno può negare la sua indubbia capacità politica. Il rifiuto di adesione dello stesso Cavour all'idea della Lega Italica lasciava intuire che la sua concezione di unità avesse altre "speranze", altre mire, altri obiettivi. L'annessione rappresentava l'indispensabile salvezza per quella disperata situazione in cui vertevano le casse delle regioni del nord. In questa "missione" Cavour fu, purtroppo per noi, abilissimo.
Noi siciliani avendo sempre subito invasioni su invasioni, nutrivamo, forse, l'illusione e la speranza che una libertà nuova e vera fosse connessa all'unità d'Italia; per questo consentimmo quelle violenze.
Ragusa come visse quegli anni ?
Il comportamento dei ragusani fu uguale a quello degli altri siciliani; un grande entusiasmo legato al nuovo patriottismo; un entusiasmo che si spense rapidamente di fronte all'amara realtà.
La figura di Garibaldi ha un sapore decadente: usato, illuso, delegittimato ed eliminato ad arte. Il suo rapporto con il popolo siciliano da cosa era caratterizzato?
Garibaldi era, fra tutti i personaggi dell'epopea piemontese, il meno discutibile. Forse usato, forse illuso, sicuramente braccio esecutivo degli ordini di Cavour e della mentalità colonialista dei Savoia. Era un massone e non un uomo del popolo come i libri di scuola (scritti dai vincitori) hanno cercato di farci credere. Fu il primo ad essere tradito, perché pensava all'Italia come ad uno Stato federale fondato anche su quella tanto odierna giustizia fiscale (il federalismo fiscale). Fu spettatore delle atrocità, dei massacri, dei furti e delle violenze commesse in Sicilia. Fu il primo testimone dell'invenzione del "brigantaggio" come scusante e giustificazione formale a tutto l'orrore portato su questa terra. Quella dei mille è una favola cui nessuno può credere veramente: un esercito di volontari e non di soldati, imbottito di vecchi, bambini, medici, artigiani, seminaristi e addirittura tre frati…questi erano i mille che, secondo la poco credibile versione ufficiale, sconfissero l'agguerrito esercito dei Borboni. La verità è ovviamente un'altra. Eravamo stanchi di subire governi lontani e ci caricammo noi per primi il peso di una lotta alla ricerca della libertà.
A discolpa di Garibaldi ricordo che si dimise dal Parlamento di Torino per protestare, sia pure tardivamente, contro le violenze perpetrate in Sicilia.
Ripercorrendo i fatti del risorgimento e dell'unità d'Italia viene da pensare che certi meccanismi politici, che allora funzionarono per spacciare la "colonizzazione" sprezzante e irrispettosa del sud come atto di liberazione e fratellanza verso una Sicilia oppressa dai Borboni, siano sempre rimaste implicite. Oggi secondo lei chi sono i barbari o chi sono i terroni?
Oggi i barbari, nell'accezione intesa un tempo, non esistono più. Oggi protagonista del male che continua ad investire la Sicilia è l'ignoranza della storia. Tutti coloro che parlano di una terra che non conoscono, strumentalizzando le sofferenze e le speranze di un'isola stanca e cavalcando il bisogno della sua gente, rappresentano perfettamente il concetto di male.
Tutti coloro che riempiono la loro bocca con offerte di elemosine ed assistenzialismo per questi territori cercando di lavare la loro coscienza, dimostrano a pieno titolo questa ignoranza di cui parlo. Nessuno vuole regali. Nessuno vuole indietro i tesori e le ricchezze depredate per anni a questa Sicilia. Vogliamo essere solo responsabili ed artefici del nostro destino, per tornare ad esprimere quei miracoli di civiltà, intelligenza e benessere che abbiamo sempre, ogni volta che siamo stati lasciati liberi, prodotto.
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