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Beni mobili
L'organo maximum della Chiesa Madre di San Giorgio
Gli organari Serassi e la loro opera massima. Unica al mondo1° parte
Sugli organi della città di Ragusa non esiste uno studio  né autonomo né  collegato a più vaste indagini riguardanti lo 
								   sviluppo delle attività musicali durante gli ultimi tre secoli. La ricerca è resa quasi impossibile dalla rarità delle fonti 
											di informazione che sono quasi sempre occasionali e indirette.  Nel volume di Salvatore Appiano “Gli Organi della Diocesi di 
											Ragusa” vi è l’elenco degli strumenti, e dalla data della sua pubblicazione ad oggi si sono acquisite altre notizie.  
           
Sul panorama musicale della città, unico squarcio nel buio è costituito dal manoscritto 
           (inedito) del dr. Filippo Pennavaria, quando la musica, sul finire dell’800, era in declino nelle grandi famiglie dove erano 
											presenti clavicembali, violini, violoncelli atti ad eseguire musica da salotto.
								   
Prima del terremoto del 1693 riguardo agli organi le notizie sono desunte dalle note spese per l’organista e il tiramantici, 
								   nonché per le feste patronali, sia di San Giorgio che di San Giovanni. Venivano addobbate le chiese al cui interno vi era un 
											palco e vi si svolgevano trattenimenti musicali sotto forma di inni, cantate e ovviamente vespri e messe solenni. Negli 
											ottavari antecedenti alle feste si rappresentavano addirittura operette e opere in musica e in prosa con intervalli musicali; 										a quei tempi gli unici spazi che potevano surrogare un teatro erano le chiese. Le processioni erano accompagnate da 
											tamburini, pifferi e trombette. Cantori e musicisti venivano fatti venire da paesi limitrofi   e oltre al salario pattuito si 										dava loro vitto e alloggio.
											
La situazione non fu molto differente dopo il terremoto che distrusse organi, strumenti musicali e spartiti, senza 
											contare che un gran numero di libri e di carte  venne bruciato dalla popolazione per scaldarsi in quell’inverno rigido, con 
											le case distrutte o inagibili. Si salvarono quei documenti, per lo più legati alle chiese, riguardanti atti di proprietà o di 										diritti.
											
Erano le feste patronali animate da un esasperato campanilismo a sopravanzare per importanza ogni altro avvenimento 
											cittadino: le spese per questi trattenimenti musicali erano considerate “necessarie”, segnando il massimo dell’impegno di 
											tutti i ceti sociali,  ma dando nello stesso tempo il limite culturale della città, nella quale i dissidi religiosi erano 
											spinti sino al fanatismo dalla classe sacerdotale, sovente non autoctona, troppo numerosa, la quale dava spettacolo della sua 										partigianeria e della sua pochezza spirituale.
								
Di tutti gli organi seicenteschi che dovevano essere nella città rimane solo quello dell’Annunziata (foto1), di quelli che si   								trovavano nell’antica San Giorgio e nell’antica  San Giovanni non si conoscono gli autori. A San Giovanni risulta un 
								   “organetto” nella cappella maggiore costato 20 onze, e  uno “grande” del quale nell’ottobre 1667 si registra la spesa per 
											farlo accordare. Spese per l’ organista e per il tiramantici risultano pure a San Giorgio. In ambedue le chiese vi era un 
											“corpus di musici concertati e obbligati a cantare di canto figurato nelle festività”. Considerando che le comunicazioni a 
											quei tempi erano difficili, che il trasporto di grandi strumenti era difficoltoso, questi organi di cui si ha notizia erano 
											pochi e di modeste dimensioni. Il periodo post terremoto, trascorsi i primi anni durante i quali si ricostruirono gli edifici 										e le chiese, diede alla città un numero di organi più che notevole. Primo tra tutti l’importantissimo organo di Frà Francesco           Bombace (foto 2), carmelitano di Caltanissetta, posto nella chiesa di San Francesco all’Immacolata datato 1704  che è l’unico           pervenuto integro. A San Vincenzo Ferreri vi era un altro organo; di quello di S. Maria di Gesù (foto 3 e 3 bis) sino a           qualche anno fa esisteva la cassa e qualche canna, oggi disperse: tutti ne abbiamo ricordo perché nel film “Divorzio 
											all’italiana” vi si celebra il matrimonio di Paolo e Rosalia e  il regista Pietro Germi nel 1961 riprende la cassa           dell’organo posto nella controfacciata.
											
Quello di Santa Maria delle Scale del 1730 è del siracusano Agatino Santucci,  un altro ancora è a Santa Maria 
											dell’Itria (foto 4 e 4 bis), nel quale, oltre alla firma di Giacomo Andronico sul somiere principale, tutte le canne di 
											facciata sono di  Frà Francesco Bombace del quale portano il punzone, e che evidentemente sono canne di spoglio provenienti 
											da un altro strumento. Un altro del siciliano Platania si trova nella chiesa di San Giuseppe (foto 5), e appartiene alla           seconda metà del Settecento.
								   
L’ultimo della serie è quello che si trovava nella chiesa di Santa Maria La Nova, anch’esso di Agatino Santucci del 
											1730 (foto 6) e che oggi si trova nella Chiesa Madre di San Giorgio a lato della cappella del SS. Sacramento.
									  
Nella cattedrale di San Giovanni Battista vi era  un organo (la cui cantoria faceva anche da pulpito) situato nel lato 
									   sinistro nel quinto intercolumnio  la cui posizione risulta chiaramente dalla pianta del 1742 con la disposizione dei banchi            assegnati alle famiglie per le prediche quaresimali.
            
Anche nella Chiesa Madre di San Giorgio vi era l’organo che fu venduto ai Frati Conventuali nel 1786 per far posto a 
												quello di Giacomo Andronico trasportato poi nella chiesa del Purgatorio.
            
Tra questi due strumenti doveva esservi una grande disparità. Quello di San Giovanni, occasionalmente fuori uso, fu  
												sostituito per la prima volta  nel 1841 da una filarmonica (quella famosa dei Pennavaria). Le esibizioni di questa 
												filarmonica nella chiesa di San Giovanni avvennero più volte e in occasioni diverse.  Evidentemente, il  primo organo post 
												terremoto  non era più all’altezza della grande chiesa che lo ospitava per cui nella seconda metà dell’800, prima delle 
												leggi di soppressione dei beni ecclesiastici, San Giovanni fa il salto di qualità: si rivolge alla grande famiglia 
												bergamasca dei Serassi che allora erano i più rinomati  fabbricanti italiani di organi.  Il  nome di uno strumento Serassi 
												era sinonimo di prestigio, di qualità  e di bellezza.
									
Singolare storia quella di questa grande famiglia  che per oltre due secoli dominò il panorama  italiano nel campo della 
									   costruzione di organi. I loro strumenti segnarono il passaggio della musica strettamente liturgica a quella grandiosa 
												ottocentesca in cui l’organo divenne orchestra, coro e voce solista,  consentendo al grande pubblico di conoscere le musiche 											dei grandi compositori italiani. 
            
Il capostipite della ditta fu Giuseppe (I) (1693-1760) nato a Cardano nella Pieve di Grandola in Valmenaggio (Como). 
												Dei suoi sei figli solo Andrea Luigi continuò a fabbricare organi, ma la casa si affermò definitivamente con il figlio di 
												Andrea,  Giuseppe (II), organaro di grande genio che arricchì la sua fabbrica, trasferita a Bergamo, con invenzioni 
												originali e innovative delle vecchie meccaniche e dei sistemi di trasmissione. Anche lui ebbe sei figli, tutti organari, ma 
												è soprattutto Carlo (1777-1849) a conquistare una fama mondiale. Gli organi fabbricati dalla “Imperial Regia Fabbrica 
												privilegiata di Bergamo” diventano uno “status symbol” e sinonimo di eccellenza. 
            Alla morte di Carlo, il fratello Giacomo, coadiuvato dai nipoti Giuseppe (IV), Carlo (II)  e Vittorio, continua l’attività e   									costruisce, principalmente nel nord  e nel centro Italia, centinaia di strumenti con l’aiuto di operai qualificati tra i 
												quali Giacomo Locatelli e  il capo fabbrica Casimiro Allieri      (1848-1900). 
            
All’inizio dell’ ‘800 è gerente della fabbrica il napoletano “ragioniere” Giovan Battista Castelli, autore di un 
												catalogo degli organi Serassi aggiornato al 1868. Ma la ditta, in mano a Ferdinando, è ormai arrivata all’apogeo e intorno 
												al 1860 iniziano i segni di crisi. Giacomo Locatelli e  altri operai si mettono in proprio. Nella seconda metà del XIX 
												secolo Ferdinando (II),  probabilmente per opera del Castelli che procura le commesse, arriva  in Sicilia. Il Castelli 
												doveva conoscere bene la Sicilia che ancora faceva parte del Regno delle Due Sicilie (1816-1861); tutti i grandi prelati e i 											nobili per un motivo o per un altro avevano rapporti con Napoli, fu perciò facile per il Castelli contattare questi 
												potenziali committenti e fare conoscere gli strumenti Serassi.
									   
 Come il barocco ha concluso la sua stagione nella Sicilia sud-orientale regalando al mondo  opere grandiose e uniche, così 
									   la fabbrica Serassi chiude il suo ciclo vitale  nella nostra isola, fabbricando  uno strumento grandioso e unico,  l’Organum  										Maximum della Chiesa Madre di San Giorgio, applicandovi tutte le innovazioni e le invenzioni sviluppate nel corso di due 
												secoli dai più geniali componenti della famiglia. Queste innovazioni ebbero origine dall’ampia ricerca di effetti sonori a 
												cui tutta l’arte organaria lombarda  tendeva già dalla fine del Settecento. Artigiani organari insigni quali i Bossi, i 
												Sangalli, i Lingiardi, gli Amati, ed ovviamente anche i Serassi, che avevano raggiunto una maestria ed una abilità senza 
												pari, danno vita ad un fenomeno tutto italiano che non ha riscontro in nessuna altra parte del mondo. All’organo liturgico 
												di accompagnamento dei cori, e deputato ad eseguire musiche chiesastiche, viene aggiunta tutta una serie di registri che 
												imitano gli strumenti di un’orchestra.  Nascono così  organi che rispecchiano mirabilmente il gusto musicale dell’Ottocento, 											progettati e costruiti per eseguire anche brani operistici o sinfonici. Trombe, viole, fagotti, corni inglesi, flauti, 
												ottavini,  e registri ad effetti speciali come campanelli, uccelliere, sistri, grancasse e  altri ancora, entrano a far 
												parte del corredo dello strumento. 
												
L ’organo, così concepito, dà un contributo fondamentale alla  diffusione della vasta letteratura musicale italiana, 
												facendo conoscere alla gente comune il repertorio operistico dei grandi compositori. La chiesa diventa teatro e l’organo  
												palcoscenico, da cui si diffondono le melodie (trascritte per l’organo) delle opere più note e amate. Bellini, Verdi, 
												Rossini, Donizzetti, Puccini diventano così nomi conosciuti anche dal grande pubblico che, ai tempi, non aveva certo la 
												possibilità di frequentare i teatri. 
            
Da questo fenomeno nasce la competizione tra San Giorgio e San Giovanni: ognuna delle due chiese ha cercato di 
												superare l’altra. Risultato:  Ragusa oggi è la città che possiede capolavori unici ed inimitabili di cui possiamo essere 
												orgogliosi, e per i quali dobbiamo essere grati ai Serassi. 
								
Autore: Andrea Ottaviano
Commissione Risanamento Centri Storici:
Opinioni a confronto:
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Itinerari:
Beni mobili:
Congressi:

 
     
             
             
             
             
             
									 
									 
									 
									 
									 
									 
									 
									 
									
 
       
       
       
      
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