Ragusa Sottosopra - Anno XII - N° 1
La Pubblicazione
Nel libro dello storico Giuseppe Micciche’ il ritratto di un figlio illustre della comunita’ iblea: Giovanni Cartia
Edito dal Centro Studi “Feliciano Rossitto” di Ragusa il libro “Giovanni Cartia – l’uomo, il politico” di Giuseppe Miccichè, che, sulla base di una vastissima documentazione, ricompone le fasi di una vita dedicata all’impegno civile e politico, esaltandone le qualità umane e le capacità intellettuali. Sono 12 i capitoli in cui è articolato il libro iniziando dall’infanzia e prima giovinezza, dal servizio della Patria in armi, per poi passare all’adesione al partito socialista, al tunnel del fascismo, ai vari ruoli pubblici, all’esperienza nel partito socialdemocratico, al ritorno alla Camera dopo la caduta, e concludere con gli ultimi anni della vita di Cartia. In appendice il prof. Miccichè riporta tutti gli atti della sua attività parlamentare. Del libro e della figura di Giovanni Cartia ne parliamo con il dott. Giorgio Veninata, uno dei relatori alla presentazione della pubblicazione avvenuta lo scorso 11 novembre presso il Centro Studi Feliciano Rossitto.
Dott. Veninata quali sono  le coordinate metodologiche di questa biografia  scritta da Giuseppe Miccichè?
           
Nella ricostruzione della biografia di Giovanni Cartia il prof. Miccichè, a mio parere,  ha utilizzato, nella giusta 
											misura, il metodo storiografico dell’inquadramento delle sue vicende private e politiche nel contesto, più ampio e articolato,
											degli avvenimenti che caratterizzarono la prima metà del ‘900, particolarmente del modo con il quale egli si rapportò (non 
											solo sotto l’aspetto ideologico) con il movimento democratico e socialista, di cui lo stesso autore ha scritto in maniera 
											approfondita nella sua recente pubblicazione dal titolo “ Un lungo cammino - Il movimento socialista nella Sicilia 
											sud-orientale “, Ragusa, 2009. Mi piace sottolineare anche che, per la chiarezza espositiva, il libro, seppur ricco di 
											puntuali riferimenti bibliografici e archivistici, riesce di facile approccio anche per un lettore non particolarmente 
											informato dei fatti storici.
							
Il libro  affronta la figura di Giovanni Cartia sotto diverse angolature. Cominciamo con  “l’uomo”. Quali erano i 
							   tratti più salienti della sua personalità e della sua storia  privata e umana?
          
E’ evidente che a ciascuno di noi riesca difficile fare un ritratto esaustivo della figura di un uomo e, nel nostro 
										caso, di delinearne le caratteristiche più significative specialmente quando la figura cui si fa riferimento è scomparsa da 
										parecchi decenni; per di più diventa impresa ardua, quasi “missione impossibile” tale compito se si considera che figure di 
										tale spessore politico non sono lontanamente paragonabili a quelle che, sul piano nazionale e locale, hanno calcato il 
										palcoscenico della politica nei decenni a noi più vicini.
          
In proposito se da un lato si corre il pericolo di cadere nel tono meramente celebrativo che è quello di avvolgere tali 
										figure in un alone, per così dire, mitico - come nella storiografia ottocentesca avvenne per gli eroi risorgimentali – 
										dall’altro si rischia di rendere banale e diverse da quelle che realmente furono  le loro vite e le loro azioni. Mai come ora 
										la nostra Ragusa, la nostra Sicilia e la nostra Italia avvertono il bisogno di ricercare nelle vicende di tali uomini politici 									della prima metà del ‘900 le ragioni fondanti del loro essere storico e, tanto per non fare nomi, mi riferisco a Cartia, ai  
										fratelli Lupis.
          
Ciò premesso possiamo dire che con Cartia ci troviamo di fronte a un personaggio ben delineato.
          
Appartenente all’alta borghesia di provincia, egli seguì con  grande diligenza il compito, direi etico, che ai suoi 
										tempi (non ora purtroppo!) si era chiamati a svolgere: quello di fare dei buoni cittadini e di dare ottimi professionisti alle 									comunità locali.
										
In tale ottica, dopo avere conseguito la laurea in legge all’Università di Catania, iniziò a svolgere con successo, 
										essendo dotato di non comuni doti oratorie accompagnate da una solida preparazione non solo tecnica ma anche 
										umanistica,l’attività forense in campo penale collocandovisi ai primi posti in una circoscrizione giudiziaria in cui i 
										probabili suoi avversari erano spesso di alto calibro.
          
Il suo profilo umano, nei confronti delle altre persone e nei confronti della sua famiglia, non poteva di conseguenza 
										che essere omogeneo a tale stile di vita.
						
Giovanni Cartia  fin da giovane ha mostrato un’attitudine naturale all’impegno sociale e politico. Quali le tappe 
						   fondamentali della sua  passione politica e della sua carriera?
									
Pur correndo il rischio di scivolare in un sentimentalismo di maniera, sono convinto del fatto che alla base della 
									giovanile adesione di Giovanni Cartia ai principi del socialismo riformista (quello di Bonomi e di Bissolati per intenderci) vi 								sia stata, per lui come per  coloro che ho citato prima, la partecipe visione delle tristissime condizioni del popolo e, 
									quindi, il sogno che ne dovesse conseguire il suo riscatto sociale; tutto ciò, però, permeato dal sentirsi profondamente 
									italiano e, come tale, mirare al compimento del disegno unitario dell’integrità territoriale della Nazione.
         
Allora vediamo Cartia vicino, ancora ragazzo, alle posizioni “ autonomistiche “ di Nunzio Nasi  e al radicalismo, con 
									forte connotazione di stampo social-riformista, del suo conterraneo e amicissimo Ignazio Piccione in una ideale continuità che, 								attraverso l’opera di Francesco Mormina Penna, li collegava al pensiero mazziniano.
         
E’ questo, a mio avviso, il senso da dare alle espressioni contenute in un suo articolo pubblicato su  “Avvenire (Il 
									Martello)” di Modica, di cui ebbe per breve tempo la direzione, in data 15 ottobre 1922 laddove criticava aspramente, oltre 
									alle violenze delle camicie nere, “gli eccessi pericolosi, cui diede luogo la infatuazione bolscevica” e sottolineava che la 
									paura del “salto nel buio rivoluzionario” aveva spinto la borghesia a porsi sotto la protezione dei fascisti.
         Radicalismo, socialismo riformista e interventismo appaiono, dunque, i tratti salienti dei primi trent’anni della sua esistenza 								vissuti, oseremmo dire, nella pienezza dell’essere cioè partecipando di persona alle vicende storiche di quell' epoca.
						
Uno degli argomenti su cui focalizzava il suo impegno era proprio la necessità di conquistare una vera autonomia 
						   regionale che fosse anche autonomia finanziaria. Possiamo definire  Cartia un  “federalista”  ante litteram?
        	
 A me sembra - come vedremo meglio - che la parola “ federalista” non risponda pienamente all’atteggiamento che Cartia 
									ebbe verso il fenomeno siciliano e che il suo fu principalmente “autonomismo”; la sua cultura storica e politica, il suo stesso 								passato lo portavano a non accettare l’ipotesi federalista almeno nei termini in cui ora la concepiamo.
         
Siamo, in ultima analisi, di fronte a un uomo politico concreto che, pur nell’intransigenza dei principi ispiratori della 								sua azione, si rende conto della particolare congiuntura storica che in quel periodo attraversava la nostra isola (non 
									dimentichiamo il separatismo!)  e cerca, insieme ad altri, di porvi l’unico rimedio possibile che consisteva nella concessione 
									di una speciale forma di autonomia legislativa e amministrativa del resto consona alle antiche aspirazioni del popolo 
									siciliano.
         
In tale prospettiva si deve considerare il grande contributo dato, in qualità di consultore regionale, nella fase di 
									elaborazione dello Statuto siciliano. 
						
Qual’ è stato il suo percorso ed il suo ruolo all’interno dell’area socialista? Come potremmo definire il suo rapporto 
						   con l’altro esponente socialista di spicco on. Lupis? 
         
Fu, secondo me, quello di ogni “buon socialista democratico” a partire, negli anni venti, dalla convinta e coraggiosa 
									adesione al Partito Socialista Unitario  di Turati e Matteotti, al suo costante distacco da ogni forma di partecipazione alla 
									vita “pubblica” nel ventennio fascista, alla successiva appartenenza alla corrente autonomista all’interno del rinato Partito 
									Socialista e al Partito Socialisti dei Lavoratori (poi PSDI) di Saragat, fin dalla cosiddetta scissione di Palazzo Barberini, 
									con ruoli peraltro di grande rilievo a partire dalla sua nomina a prefetto nel 1943-44, di quella a consultore regionale nel 
									1945, a quella di  deputato alla Costituente nel 1946 nel corso della quale ricoprì la carica di sottosegretario 
									all’Agricoltura nel IV governo De Gasperi, di deputato nella prima legislatura (1948-1953) e, durante la stessa e 
									ininterrottamente, di componente della Commissione parlamentare Agricoltura e Foreste. Questi momenti della sua attività 
									politica e parlamentare sono stati dettagliatamente descritti da Giuseppe  Miccichè nel libro.
		       
I rapporti con l’on. Giuseppe Lupis e con i suoi fratelli, improntati in ogni caso alla grande  amicizia risalente, com’è 								documentato, ai tempi tristi degli anni Venti del ‘900, non possono  considerarsi, nell’ultimo periodo della vita politica di 
									Cartia, privi di momenti di asprezza polemica inevitabili in un sistema elettorale fondato sulle preferenze con riferimento, 
									tra l’altro, al  partito in cui militavano che aveva una modesta dimensione sul piano quantitativo. 
      
Nella sua attività di parlamentare Cartia  è stato  sostenitore  dell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e 
						    della riforma agraria. Ma rimane ben presto deluso dall’applicazione di questi strumenti.  Qual'era la sua posizione?
						    
E’ proprio su tale terreno, cioè quello parlamentare, che possiamo pienamente renderci conto (e Giuseppe Miccichè non 
										manca di approfondire tale punto) del suo spessore politico e della sua dimensione di uomo di Stato, con l’avvertenza che non 
										fu convinto assertore della Cassa per il Mezzogiorno in se stessa ma la considerava, e qui richiamo tra virgolette alcuni 
										passi di un suo intervento alla Camera nella seduta del 22 giugno 1950, come “una prima tappa” nella ricerca della soluzione 
										di un “affannoso e vecchio problema sul piano nazionale” che poteva anzi doveva essere risolto “su un piano di convenienza e 
										di solidarietà nazionale” perché “la politica generale deve essere connessa con le finalità proprie della Cassa….non basta 
										stanziare massicci investimenti, se non si coordina l’attività politico-economica del governo indirizzandola a finalità 
										antidepressive, se non si coordina verso lo stesso scopo l’azione del governo, in tutti i campi, da quello fiscale a quello 
										doganale, da quello creditizio a quello dei prezzi, ecc..”, quindi rilevava la necessità di sostenere le “manifestazioni di 
										sviluppo industriale meridionale, specie quando ciò è per giunta connesso colla produzione agricola e colla trasformazione 
										agraria”.
          Per proseguire sulla opportunità “di un decentramento non solo territoriale ma anche funzionale nell’articolazione 
										democratica di uno Stato moderno” .
          
In tale senso la Cassa per il Mezzogiorno poteva svolgere un compito importante in quanto ad essa venivano assicurate, 
										in modo costante e non discontinuo, notevoli risorse finanziarie e veniva inoltre eliminato il frazionamento di competenze tra 									diversi rami dello Stato e si dava “speditezza e sollecitudine all’ azione amministrativa”.
          
In tale ottica Cartia intendeva però sostituire la prevista “intesa” con le Regioni con il parere consultivo delle 
										stesse e, sul piano creditizio, richiedeva che i fondi assegnati alla Cassa non giacessero presso l’Istituto di emissione, ma 
										venissero messi a disposizioni delle sezioni speciali di credito agrario delle banche meridionali che a loro volta avrebbero 
										potuto sostenere lo sviluppo agricolo del sud e delle isole.
										
E così concludeva, con il tono oratorio che gli era congeniale “E siamo certi fin d’ora che, così come oggi, con piena 
										cordialità e solidarietà d’intenti, vediamo pulsare in unità di sentimenti il cuore del nord e del sud, sarà avverato 
										l’augurio che, ancora e sempre, …possa la stessa istanza di realizzazione del programma meridionale trovarci concordi, con lo 
										stesso spirito di solidarietà nazionale”.
						
L'On.le Cartia, intervenendo in una successiva seduta del 23 luglio 1950 sulla proposta di legge governativa rubricata come 
						   “Norme per la espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini”, pur essendo favorevole alla 
									 realizzazione della piccola proprietà contadina,  ne faceva risaltare la forma associativa come la più confacente alla 
										modernizzazione e allo sviluppo del settore agricolo, sia nella fase produttiva che in quella della commercializzazione dei 
										prodotti del suolo.
          
Tutta la sua attività si svolge nel segno della equità e della giustizia sociale come ebbe a dire, il 24 ottobre 1951, 
										in un altro ampio discorso parlamentare, nel proporre “un quadro organico di provvedimenti molteplici (ivi compresi interventi  								di sistemazione idrogeologica del territorio) che aggredissero il monopolio terriero e sviluppassero l’industrializzazione 
										dell’agricoltura, anche attraverso la leva creditizia ...noi ( socialisti democratici) sentiamo la giustizia sociale come 
										una esigenza giuridica e morale che non è soltanto carità intesa come solidarietà, ma è soprattutto un diritto che, per dirla 
										col Vico, va dispiegandosi dall’eterno seme del giusto e viene gradualmente a costituirsi legislativamente… giustizia nel dare 									a tutti, nessuno escluso, e a ciascuno secondo la propria capacità!”.  
          
La morte lo sottrasse prematuramente alle inevitabili delusioni per il mancato superamento della questione meridionale.
								
Intervista a cura di: Faustina Morgante
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La Dedica:

    
            
            
            
            
									
									
									
									
									
									
      
      
      
      
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